«Per coloro che tornano ai Paesi d'origine l'aiuto psicologico può essere più diretto - dice il neuropsichiatra infantile Giovanni Mazzotta dell'Università di Perugia -, soprattutto perché è possibile comunicare nella loro lingua, instaurando subito un supporto psicologico adeguato, strumento terapeutico principale per ostacolare l'insorgenza del disturbo post-traumatico da stress e altri disturbi psicologici, in particolare nei bambini. Una valida misura psicoterapeutica, ancor più importante per i piccoli asiatici che hanno perso anche la possibilità di ritrovare un contesto concreto come la propria casa, è quella della salvaguardia della "famiglia allargata"». Attorno al bambino va ricucita, infatti, al più presto una rete di legami con figure familiari rappresentative, che, in assenza dei genitori, possono anche essere fratelli maggiori, cugini, zii o nonni che è possibile rintracciare in vita.
Famiglia allargata
Questo concetto è ben noto ai neuropsichiatri infantili italiani che hanno sempre puntato sull'importanza dell'integrazione del nucleo familiare, un modello elogiato anche dagli altri colleghi europei intervenuti durante i primi due/tre giorni di soccorso ai sopravvissuti del maremoto. Il modulo della famiglia allargata, col ripristino dei legami familiari che è possibile ricostruire attorno al piccolo, fu probabilmente applicato per la prima volta dopo il terremoto di Messina del 1903, con la creazione delle tendopoli per mantenere uniti i nuclei familiari.
I "figli dello Tsunami" sono sopravvissuti ad un'esperienza devastante, una situazione di stress particolare: improvviso, incontrollabile, estremamente grave. La gravità di questo stress è massima perché incontra un apparato psichico completamente impreparato alla situazione, incapace di mettere in atto qualsiasi meccanismo di difesa.
La psiche di chi era il 26 dicembre su quelle spiagge non aveva innalzato alcuna barriera di protezione: non sembrava ci fosse nulla da temere; in nessuno l'organismo era in stato di allerta. A un tratto, invece, si è scatenato l'inferno.
Nessuna difesa
«Lo stress non è ciò che ci capita, - spiega il neuropsichiatra infantile Vincenzo Guidetti dell'Università la Sapienza di Roma - ma è come affrontiamo quello che ci capita».
Come a dire che il vero evento stressante è solo quello che il nostro organismo non riesce a prevedere e a neutralizzare. In genere, l'organismo riesce ad adattarsi alle sollecitazioni dell'ambiente, ma alcuni eventi nel corso della vita (lutti, incidenti; stress psicosociali come il licenziamento; stress fisici come la fatica, o metabolici come digiuno, febbre) possono portare a risposte patologiche.
I meccanismi con cui l'organismo di solito neutralizza gli eventi stressanti vengono definiti "meccanismi di coping".
Nello stress generato dallo Tsunami, non c'è stato tempo per mettere in atto alcuna forma di neutralizzazione. Ma «nessun coping sarebbe bastato - sottolinea Guidetti -. L'impatto è troppo forte per essere arginato da meccanismi sviluppatisi per neutralizzare stress che, per quanto forti, rientrano nella normalità».
I sintomi
La "sindrome da disastro" si caratterizza per una prima fase di impatto col disastro ("stressor iniziale") e per una seconda fase, ancor più grave, di "disastro secondario percepito" che sopravviene perché i meccanismi di coping non sono riusciti ad arginare l'impatto dell'evento stressante. «Il paziente con questo disturbo - dice Guidetti - ha precisi sintomi: ha ricordi ricorrenti e intrusivi dell'evento, un rumore forte può portarlo ad agire come se l'evento stesse ripetendosi, perde sonno e interessi, ha difficoltà di memoria e concentrazione. A volte prova un grave senso di colpa per essere sopravvissuto mentre altri sono morti. Altre volte instaura una condotta d'evitamento verso qualsiasi cosa possa ricordargli l'evento».
Le cure
Una psicoterapia associata a farmaci ansiolitici e antidepressivi fa sì che pian piano i meccanismi di coping possano riorganizzarsi, consentendo ai sopravvissuti di riemergere.
«Ciò non vuol dire però che i segni lasciati da un evento di tale gravità possano essere completamente debellati - avverte Guidetti -. Anche se il soggetto apparentemente sembra ritrovare un assestamento, i danni resteranno indelebili nella sua memoria e il rischio è che la sua soglia di sopportazione dello stress rimanga perennemente aumentata, come se i suoi meccanismi di coping si fossero incrinati per sempre».
Corriere Salute, 9 gennaio 2005