La crisi fa aumentare le contraffazioni e i cibi contaminati. La crisi economica avvelena anche la tavola. La recessione in cui Europa e Italia si sono infilate ha costretto sei famiglie su 10 a tagliare i consumi e nei primi tre mesi del 2013 le vendite di alimentari sono cadute del 6,3%. Fanno eccezione i discount e la distribuzione low cost, settori che crescono (+2,3%) favoriti dall’esigenza di spendere sempre meno per mettere insieme il pranzo con la cena. Il guaio è che, contestualmente, sono aumentati del 26% gli allerta per prodotti potenzialmente pericolosi per la salute di grandi e piccini, generi che arrivano per lo più da fuori Ue e possono contenere sostanze non autorizzate o nocive. Chi li conosce, e chi se lo può permettere, li evita. Gli altri no. Così rischiano davvero grosso.
Il campionario di cibi sospetti e contraffatti che popolano gli scaffali di negozi e supermercati anima un vero circo degli orrori, almeno dal punto di vista di un Paese come il nostro, dove la tradizione della cucina e della qualità è più diffusa dell’instabilità politica e dello scontro fra campanili. La Coldiretti li ha esposti in bella parata a Bruxelles, per denunciare un fenomeno che danneggia la digestione degli italiani e il business della forchetta nazionale. L’80% dei prodotti ritenuti a rischio viene da fuori i confini dell’Ue, il che almeno spiega a cosa serve l’integrazione comunitaria. Destinazioni di partenza più comuni Cina, India e Turchia. C’è un problema di tutela, di informazione e di protezione dei marchi.
Gli esempi mandano ogni boccone per traverso. Sul circuito a basso costo si incontrano nocciole e pistacchi anatolici, solerti portatori di muffe e aflatossine negli snack a basso prezzo. Amaro anche il contatto con il miele, le cui importazioni dall’ex celeste impero sono aumentate del 38%, diffondendo - argomenta Coldiretti - la minaccia di una contaminazione di organismi geneticamente modificati non autorizzati. Cosa che, mutando i fattori e non il risultato, può capitare anche con il riso.
Talvolta il prezzo è troppo basso per essere vero. I pomodori cinesi costano molto meno dei nostri e nel 2012 ne abbiamo importate 85 milioni di tonnellate. L’Efsa, l’agenzia Ue per la sicurezza alimentare, ha riscontrato nel 41% dei casi la presenza di pesticidi. L’aglio argentino ha presentato residui chimici nel 25% dei campioni. Il pepe indiano è irregolare una volta su due e persino le pere slovene sono state trattate con prodotti fuorilegge una volta su quattro. È roba che più probabilmente finisce nei sughi e nelle confezione a prezzo stracciato. Come il succo di arancia: per la maggior parte proveniente dal Brasile, Paese messo al bando dagli Usa perché negli agrumi erano presenti residui di antiparassitari vietati.
La soluzione, secondo il presidente della Coldiretti Sergio Marini, «è che l’Europa investa nell’agricoltura e premi chi produce in modo sostenibile». Servono maggiori controlli oltre che un buon senso impossibile da cucire in un’intesa comunitaria. In Svezia, per esempio, vendono kit in polvere che promettono di trasformarsi in vino entro 5 giorni, il che apre una discussione culturale oltre che commerciale e sanitaria. Per non parlare della mozzarella che non hai mai visto il latte e gli oli miscelati con non si sa cosa.
L’appello di Marini punta alla nuova Pac, la politica agricola comune attualmente in discussione. Dice che «non si può pensare, come inizialmente aveva fatto la Commissione, solo a un contributo per ettaro: bisogna controllare meglio quali aziende si sostengono». Battaglia giusta, ma complessa. Basta pensare alla riforma dell’oliera monouso bloccata dalla Commissione su spinta dei Paesi nordici che badano alla quantità più che alla qualità.
È un modo per battere la crisi, per star meglio e godersela a tavola. Non per protezionismo, sia chiaro. A meno che non sia la protezione del proprio stomaco e della propria vita.
Marco Zatterin, corrispondente da Bruxelles