Solo il 40% dei ragazzi italiani pratica le due ore di educazione fisica previste dal programma scolastico. E molti abbandonano per l'impossibilità di rispondere ad aspettative elevate.
Secondo uno studio effettuato dall'Osservatorio SIP su “Abitudini e stili di vita degli adolescenti italiani”, che indaga annualmente su un campione nazionale di ragazzi che frequentano la terza media, oltre il 60% dei giovani italiani trascorre tra le 10 e 11 ore comodamente seduto. Solo il 40% di loro pratica le due canoniche ore di sport settimanali previste dal programma scolastico delle scuole primarie e secondarie. Poco, troppo poco se si pensa che in questa specifica fascia d’età i ragazzi e le ragazze, per raggiungere uno sviluppo psicofisico armonico e salutare dovrebbero praticare almeno un’ora al giorno di attività motoria. Non necessariamente sportiva o agonistica, sarebbe già sufficiente fare una corsa nel parco, una passeggiata in bicicletta o con il cane, una nuotata in piscina. Un’esigenza oggi ancora più necessaria alla luce degli stili di vita ben poco esemplari dei nostri ragazzi che, proprio intorno a quest’età, sono saldamente al primo posto nella speciale classifica europea riguardante sovrappeso e obesità.
Le cause del "poltronismo" — Insomma, stiamo assistendo a una vera e propria epidemia di sedentarietà. Dati che preoccupano non poco i pediatri, in quanto la sedentarietà è l’anticamera dell’obesità e della sindrome metabolica e di conseguenza, il principale fattore predisponente delle malattie croniche cardiovascolari e tumorali di adulti e anziani. Ma perché i nostri adolescenti non fanno sport? I motivi sono molteplici. Intanto, certamente non aiuta una cultura sportiva ben poco radicata, in cui si ritiene che l’ "essere sportivi" coincida con l’ "essere spettatori". La scuola poi, con le sue due sole ore settimanali di Educazione Fisica (spesso zero nelle scuole elementari), non aiuta di certo. Nel vecchio continente peggio di noi solo il Portogallo.
Il "drop-out" — Ma sembra che il problema maggiore non sia tanto l’accesso allo sport (le lacune in ambito scolastico sono, infatti, in gran parte compensate da un efficace attivismo sul territorio delle società sportive) quanto l’abbandono precoce in età adolescenziale. Una delle principali cause evidenziate da diversi studi è la disillusione prodotta da aspettative troppo elevate dell’atleta in erba o dei suoi genitori. Se il ragazzo o la ragazza si avvicinano allo sport con l’unica ambizione di emergere a ogni costo e divenire dei campioni, è evidente che difficilmente proseguiranno l’attività, nel momento in cui si renderanno conto, ovviamente la maggioranza, che questa possibilità è loro oggettivamente preclusa. Inoltre, la gioventù di oggi accetta con difficoltà modelli sportivi del passato, sebbene recente; rifiuta l’agonismo esasperato; richiede maggiore libertà e spensieratezza; minori regole e impegno. Il sistema sportivo dovrà quindi adeguarsi a questa nuova realtà, rinnovandosi e offrendo modelli più divertenti e stimolanti, in grado di competere con le molteplici offerte di una società profondamente mutata.
Mabel Bocchi