La progressività del sistema tributario, dettata dalla Costituzione, consente di mantenere una equa distribuzione di risorse, fornire servizi di qualità e cure sanitarie adeguate. Ma non può essere la sola Irpef a rendere progressiva la tassazione. Anche l’Imu deve continuare a fare la sua parte.

Carlo Fiorio

L’eliminazione dell’Imu prima casa per tutti era un punto centrale delle promesse elettorali del Pdl ed è diventata una punto dirimente per la sopravvivenza del Governo Letta. La proposta di eliminare l’imposta sul patrimonio immobiliare utilizzato come prima casa permette di raccogliere consenso ed è spesso giustificata dalla retorica secondo cui la prima casa è un diritto fondamentale, il frutto di sacrifici, il sogno di ogni italiano, spesso il ricordo di famiglia e non è accettabile che la si usi per raccogliere gettito.

Dal punto di vista della finanza pubblica, l’Imu sulla prima casa ha diversi limiti, tra tutti quello di essere definita sulla base di rendite catastali che non rispecchiano il valore di mercato degli immobili. Ha anche – almeno – un paio di grandi meriti. Innanzitutto, è un’imposta che non può essere evasa facilmente: una casa non si può nascondere, non si può dichiarare di vivere in un monolocale quando si risiede in una villa registrata in catasto. Inoltre è un’imposta progressiva, grazie soprattutto all’esistenza di una detrazione per prima casa e al fatto che chi ha redditi bassi ha una ricchezza immobiliare minore. Ossia, rispetto al reddito, i redditi bassi pagano mediamente poco (perché non sono proprietari o perché possiedono una casa piccola e quindi con rendita catastale limitata), mentre i redditi alti pagano relativamente di più, perché in gran parte possiedono la propria abitazione, che è mediamente grande.

In tabella 1 è riportata la distribuzione per decili di reddito familiare pro capite della percentuale di famiglie che abitano in casa di proprietà, del valore medio dell’abitazione principale e degli altri immobili di proprietà, utilizzando i dati dell’Indagine sui bilanci familiari della Banca d’Italia per l’anno 2010 e il valore che gli intervistati dichiarano essere il valore di mercato degli immobili posseduti. La colonna A mostra che la proporzione di famiglie che vive in casa di proprietà è crescente al crescere del reddito familiare pro capite, dal 52 per cento del primo decile all’85 per cento dell’ultimo. La colonna B mostra che il valore medio delle case di proprietà aumenta all’aumentare del reddito e la colonna C che il valore della ricchezza immobiliare al netto della prima casa si concentra soprattutto nell’ultimo decile. Non a caso, l’Imu è fortemente concentrata sugli ultimi decili.

Tabella 1 – Distribuzioni dei valori immobiliari per decili di reddito familiare pro capite


PERCHÉ SERVE LA PROGRESSIVITÀ

Benché il merito dell’Imu di avere tassi di evasione molto bassi sia già di per sé notevole per un paese come il nostro, concentriamoci ancora sulla sua progressività. Perché è importante? Non esiste un grado ottimale di progressività, dipende dalle preferenze sociali: ci sono società che preferiscono alti livelli di progressività (per esempio i paesi scandinavi), altri che preferiscono bassi livelli (per esempio gli Stati Uniti). La progressività del sistema tributario italiano è una prescrizione del nostro dettato costituzionale (articolo 53), anche se è lasciato al legislatore definirne il grado. Inoltre, la progressività va valutata nel complesso del sistema tributario, non per ogni singola imposta.

Quello che possiamo sicuramente notare è che il grado di progressività delle imposte è andato via via diminuendo nel corso degli ultimi decenni in Italia. L’Irpef, la principale imposta diretta italiana, inizialmente introdotta su una definizione di reddito molto ampia, ha visto via via ridursi la base imponibile divenendo col tempo un’imposta quasi solo sui redditi da lavoro e pensione e con un aliquota massima che è passata dal 72 per cento, nell’anno in cui fu introdotta, al 43 per cento attuale. Fino ad ora l’Irpef è stata la principale imposta mediante cui si è realizzata la progressività, dal momento che le altre componenti di reddito, lentamente uscite dalla base imponibile Irpef (da ultimo i redditi da immobili dati in affitto con il meccanismo della cedolare secca), sono soggette a imposte proporzionali, dove tutti pagano la stessa proporzione del reddito, a prescindere dal livello di reddito percepito.

La progressività dell’imposta è un importante strumento di redistribuzione, specialmente quando esistono servizi pubblici forniti con criteri prevalentemente universalistici. Consente di mantenere una equa distribuzione di risorse, fornire servizi come l’istruzione di buona qualità e cure sanitarie adeguate anche a chi è privo di mezzi sufficienti per pagarseli.
In letteratura economica esistono diversi indicatori di progressività, ma basta guardare a un semplice grafico che rappresenta la quota di reddito complessivo ai fini Irpef detenuta dall’1 per cento più ricco di coloro che compilano la dichiarazione dei redditi per avere un’idea piuttosto definita. La figura 1 rappresenta con la linea continua il livello dell’aliquota massima dell’Irpef, gradualmente diminuita dagli anni Settanta a oggi (si veda l’asse sinistro del grafico). La linea tratteggiata mostra la quota di reddito detenuta dall’1 per cento più ricco, che è passata da un minimo di 6,3 per cento nella prima parte degli anni Ottanta a un massimo di 9,9 per cento nel 2007, per poi diminuire leggermente durante la crisi: un incremento di oltre il 50 per cento (asse destro del grafico). In poche parole, i ricchi sono sempre più ricchi, in un periodo in cui l’economia italiana è cresciuta poco o nulla.

Forse è discutibile ipotizzare di tornare ad aumentare l’aliquota massima dell’Irpef, anche se risultati teorici recenti suggeriscono che siamo andati troppo in basso nel corso degli ultimi decenni. È discutibile perché l’Irpef è pagata quasi esclusivamente da chi riceve redditi da lavoro dipendente e pensione. Ancor più discutibile è lasciare alla sola Irpef l’onere di rendere la tassazione progressiva. È bene che anche l’Imu continui a fare la sua parte.

Figura 1 - Aliquota marginale massima dell’Irpef e quota del reddito dell’1% più ricco tra tutti coloro che presentano una dichiarazione dei redditi ai fini Irpef

Fonte: The World Top income Database (http://topincomes.g-ond.parisschoolofeconomics.eu/)


Bio dell'autore

Carlo Fiorio: Carlo Fiorio è ricercatore in Scienza delle Finanze presso l’Università di Milano, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali e Statistiche. Ha conseguito il Master in Econometrics and Mathematical Economics e il PhD in Economics presso la London School of Economics. Ha insegnato presso la London School of Economics, l’università di Bologna e l’Università Bocconi, dove collabora alle attività di Econpubblica, Centro di Ricerca sul Settore Pubblico. I suoi principali interessi di ricerca vertono in temi di tassazione, distribuzione del reddito, econometria applicata, economia del lavoro.

Partner della formazione

ConfiniOnline fa rete! Attraverso la collaborazione con numerosi enti profit e non profit siamo in grado di rivolgere servizi di qualità a costi sostenibili, garantendo ampia visibilità a chi supporta le nostre attività. Vuoi entrare anche tu a far parte del gruppo?

Richiedi informazioni