Roma. Una contrazione del Pil pari al 2,4%, una caduta della domanda interna di 4,8 punti percentuali, un crollo del potere d'acquisto delle famiglie italiane, anch'esso di 4,8 punti percentuali. Il rapporto annuale dell'Istat sintetizza così l'anno drammatico che abbiamo alle spalle: «Si tratta di una caduta di intensità eccezionale che giunge dopo un quadriennio di continuo declino. A questo andamento hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito da attività imprenditoriale e l'inasprimento del prelievo fiscale». Con queste premesse macroeconomiche il rapporto Istat passa poi a dettagliare lo scenario sociale dell'Italia del disagio e spiega che sono raddoppiate negli ultimi due anni le persone in famiglie gravemente deprivate, quelle cioè che presentano almeno 4 sintomi sui nove considerati (si va dal non potersi permettere spese impreviste né di fare una settimana di ferie in un anno all'avere arretrati per il mutuo, l'affitto o le bollette, al non poter consumare un pasto adeguato ogni due giorni, e altre ristrettezze di questo tipo): la loro quota è passata dal 6,9% del 2010 al 14,3% del 2012: si tratta di 8,6 milioni di persone. Ma il bradisismo sociale riguarda in realtà una fascia più ampia di popolazione: le famiglie che presentano almeno tre sintomi di disagio economico sono il 24,8% della popolazione ovvero quasi 15 milioni di persone (al Sud questa percentuale sale al 40 per cento).

Dietro a questo declino economico e sociale c'è ovviamente la grande scarsità di lavoro, anche se è la stessa Istat a segnalare che alla forte e perdurante flessione dell'attività produttiva finora ha corrisposto un calo dell'occupazione relativamente contenuto per effetto dell'incremento del part time e dell'ampio ricorso alla Cassa integrazione guadagni. In pratica nel 2012 l'occupazione risulta diminuita del 2,2 per cento rispetto al 2008 (dall'inizio della crisi sono quindi andate perdute 506 mila unità di lavoro). Il calo, annotano gli esperti, è stato tuttavia molto più forte nel Sud (la contrazione dell'occupazione dal 2008 alla fine del 2012 è stata di ben 4,6 punti percentuali). La disoccupazione, peraltro, è cresciuta del 30,2 per cento nel 2012 (+636 mila unità, oltre un milione in più del 2008) ma questo è avvenuto anche per la riduzione dell'inattività: molte donne, che prima erano inattive hanno cominciato a cercare un lavoro. Intanto, però è aumentato un segmento particolare dell'inattività,quello delle forze di lavoro potenziali: si tratta di 3 milioni e 86 mila individui che si dichiarano disposti al lavorare anche se non cercano un lavoro oppure sono alla ricerca di un posto ma non immediatamente disponibili: se si sommano le forze di lavoro potenziali ai disoccupati, dice l'Istat, il numero di persone "impiegabili" che premono alle porte del mercato del lavoro si avvicina a sei milioni di persone.

Crisi e ristrutturazioni, poi, hanno picchiato duro soprattutto sulle professioni più qualificate: il gruppo dei dirigenti e imprenditori ha perso nel giro di 4 anni ben 449 mila unità (che vuol dire una riduzione del 42,6% in questa categoria sociale) e quasi 100 mila solo nel 2012: nella maggior parte, annota l'Istat sono piccoli imprenditori e dirigenti d'impresa.

Infine, ma in cima alla lista per quel che riguarda il futuro del Paese, c'è la questione giovani: l'Istat ricorda che tra il 2008 e il 2012 gli occupati compresi fra i 15 e 29 anni sono diminuiti di 727 mila unità(di cui 132 mila solo nell'ultimo anno) e il loro tasso di occupazione è sceso di 7 punti percentuali. Parallelamente il tasso di disoccupazione giovanile in questa fascia d'età tra il 2011 e il 2012 è aumentato di quasi cinque punti percentuali dal 20,5 al 25,2(a Sud la percentuale è ormai la 37,3%). Non basta: l'Italia ha la quota più alta d'Europa (23,9%) di «neet»(not in education employment or training).Sono 2 milioni 250 mila persone: il 40% di loro cerca attivamente un lavoro,un terzo fa parte delle forze di lavoro potenziali, il 29,4% non cerca lavoro e nemmeno è disponibile a lavorare.

Rossella Bocciarelli

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