In quest’ultimo periodo si è spesso sentito parlare di contratto di generazione, in parte, come rimando alla legge adottata in Francia nell’aprile di quest’anno, in parte poiché l’ex ministro Fornero parlava, già nel dicembre 2012, di un decreto attuativo della cosiddetta “staffetta generazionale”, che è finito sul tavolo di discussione, con il nuovo ministro del Lavoro Giovannini.

di Giulia Alessandri*

La cornice nella quale s’inserisce questo contratto presuppone una serie di problematiche, apparentemente comuni ai Paesi dell’Unione Europea, quali, l’elevato tasso di disoccupazione giovanile, da un lato, e, dall’altro, la necessità di tutelare la popolazione più anziana che, per l’allungamento della speranza di vita, si ipotizza dovrà restare più a lungo a disposizione sul mercato del lavoro e che dovrà, per questo, essere maggiormente tutelata.

Conciliare le esigenze di due categorie lavorative “opposte”, non è mai stato semplice, soprattutto in un periodo di crisi, dove il datore di lavoro guarda al risparmio dei costi: da un lato, assumere un giovane, con un contratto precario, costa meno, dall’altro la necessità di mantenere alta la competitività spinge l’azienda a garantire comunque la presenza di dipendenti seniors con esperienza, ovviamente ad un costo più elevato.

Proprio per questo, la tendenza di questi ultimi anni, è stata quella di “spingere verso l’uscita” i senior, per far posto ai giovani. Quindi, un risparmio considerevole dei costi, a discapito di competenze, esperienza e professionalità che escono dall’azienda insieme al dipendente anziano.

In Italia, la recente riforma del lavoro, ha allungato l’età pensionabile, portandola fino ai 70 anni. Da qui, la necessità di trovare una soluzione al problema: come conciliare giovani e senior in un mercato del lavoro saturo? A fronte delle stesse criticità, i francesi hanno pensato che i seniors, prima di andare in pensione, potessero insegnare il mestiere ai giovani.

Così, hanno dato vita al “contrat de génération”, che persegue come obiettivi quello di alzare il tasso di occupazione giovanile, garantendo l’assunzione con contratto a tempo indeterminato, quello di mantenere, contemporaneamente, il senior nell’azienda, fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici e, infine, quello di permettere che si realizzi un passaggio di competenze, durante l’anno o gli anni di permanenza di entrambi, attraverso un’attività di tutoraggio che il senior dovrà svolgere nei confronti del più giovane.

E i francesi, non si sono limitarti a inserirlo nel testo della legge, ma hanno stabilito che quest’ultimo obiettivo dovrà essere descritto ed esplicitato, da parte del datore di lavoro, in una serie di documenti che andranno predisposti e presentati alle autorità amministrative competenti, che verificheranno la corretta applicazione di questo contratto da parte dell’azienda.

Quindi, per realizzare questo passaggio di competenze, il contratto di generazione è stato pensato in modo che l’azienda possa assumere un giovane con meno di 26 anni (30 se affetto da handicap) e garantire il contestuale mantenimento del senior over 57 (55 se affetto da handicap), fino al raggiungimento dell’età pensionabile. Normalmente, la durata del contratto sarà triennale.

All’azienda è data la possibilità di mantenere un giovane, assunto prima di marzo 2013 con altro contratto, e trasformarlo in contratto a tempo indeterminato; se invece dovessero mancare dei seniors all’interno dell’organico, l’azienda potrà assumere un over 55 e attivare con esso il contratto di generazione.

Il problema è che lo Stato francese domanda alle aziende di favorire il lavoro dei giovani e di tutelare i seniors, tenendo presente che l’impianto del contratto di generazione implica la contestuale presenza in azienda di due persone, anziché una, per una durata di tre anni, e senza riduzione di orari per nessuno.

Come può quindi, un’azienda francese, magari di piccole dimensioni e in una situazione di crisi economica, assicurare allo Stato di essere in grado di sostenerne i costi? E’ proprio in questo momento che interviene l’aiuto finanziario statale, diretto alle piccole medie aziende.

Stabilito contrattualmente con le parti sociali, la Francia ha selezionato i soggetti, verso i quali sarebbe intervenuta, secondo un criterio di grandezza. Nello specifico, le aziende che contano tra i 50 e i 300 dipendenti, dovranno negoziare un accordo, a livello aziendale o a livello di categoria, (o piano d’azione) per poter beneficiare di un aiuto di 4 000 euro l’anno, per al massimo tre anni.

Di questi 4 000 euro, 2 000 euro sono a sostegno dell’assunzione del giovane, 2 000 euro sono per il mantenimento del dipendente senior nell’azienda. Fondamentale per l’azienda, sarà quello di assicurare il trasferimento delle competenze tra questi due lavoratori, dimostrando di aver creato quella sinergia che, oltre essere d’interesse primario per l’azienda, giustifica l’aiuto finanziario da parte dello Stato.

Nelle aziende con meno di 50 dipendenti, l’aiuto statale sarà garantito senza la necessità che venga stipulato nessun accordo. Quindi, laddove avverrà la contestuale assunzione di un giovane e il mantenimento di un senior, che avrà il ruolo di tutor, il finanziamento dello Stato sarà riconosciuto anche a queste aziende.

Invece, per le aziende con più di 300 dipendenti, lo Stato non ha previsto alcun finanziamento per l’attivazione del contratto di generazione, stabilendo, al contrario che, se entro settembre 2013 queste aziende non avranno negoziato un accordo, a livello aziendale, o predisposto un piano d’azione in tema di contratto di generazione, gli verranno applicate le relative sanzioni.

In questo modo, di fronte alla necessità di operare una scelta, anche rispetto ai fondi a disposizione, la Francia ha ragionato in termini di “discriminazione positiva”, legata alla dimensione aziendale (e alle relative risorse economiche), per evitare il c.d. “effetto d’aubaine”, cioè evitare che le grandi aziende, che già mettono in atto questa politica di assunzione dei giovani e del mantenimento dei seniors, potessero comunque godere degli aiuti statali.

Il sostegno è stato quindi pensato per quelle aziende che, per ragioni economiche, si sarebbero potute trovare in difficoltà nell’applicare questo strumento di impulso al lavoro. Da notare come, per attivare questa “staffetta”, la Francia abbia deciso di promuovere il dialogo con le parti sociali.

Frutto della concertazione è stato l’ANI (accordo nazionale interprofessionale) sul contratto di generazione, che ha descritto le modalità di applicazione del contratto, i cui contenuti sono stati poi ripresi dalla legge.

Il ruolo delle parti sociali non si arresta a questa prima fase: come abbiamo visto, per l’attivazione del contratto di generazione, molte tra le aziende francesi dovranno aprirsi al tavolo di negoziazione e adottare un accordo aziendale (o piano d’azione) o di settore, che preveda la realizzazione di questo contratto.

Questo dialogo permetterà di dare vita ad una misura che sarà il più possibile adattata al contesto aziendale, nello specifico. Sarà questa negoziazione che, per molte aziende, garantirà l’aiuto statale o l’esenzione dalla sanzione. Anche l’Italia, con il nuovo Ministro del Lavoro, Giovannini, sembra essersi aperta al dialogo con le parti sociali, per avviare una nuova politica del lavoro dove, tra le proposte, compare anche il patto di generazione.

Il nostro Paese vede nella distribuzione generazionale un’occasione per aiutare i giovani ad entrare nel mercato del lavoro e individua nello strumento del part-time dei seniors, la chiave per il successo di questa nuova misura.

Secondo il progetto sul patto generazionale, il lavoratore anziano, con meno di cinque anni alla pensione, potrebbe accettare il part-time fino al raggiungimento dei requisiti pensionistici.

In cambio, l’azienda assumerebbe un giovane con contratto di apprendistato o con contratto a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda il senior, la riduzione dell’orario di lavoro, fino al massimo al 50%, sarebbe accompagnata dalla corrispondente riduzione dello stipendio.

In compenso, lo Stato sosterrebbe il versamento dei contributi pensionistici (a titolo di contribuzione volontaria), in modo da garantire al senior di non perdere o ritardare il suo diritto alla pensione. Se nel frattempo, la riduzione dello stipendio dovesse risultare un problema, il senior potrebbe domandare un anticipo sulla pensione, che gli verrebbe scalato in seguito.

Da notare come, il progetto italiano, relativo al patto di generazione, non corrisponde all’idea che hanno i francesi del contrat de génération, come misura che deve garantire il lavoro sia ai giovani che ai seniors, attraverso la creazione di un collante tra due generazioni che non devono escludersi l’una con l’altra, ma che, al contrario, devono trovare vantaggioso collaborare, anche solo per un periodo. E il discorso vale anche per l’azienda.

Sembra invece che in Italia, nonostante l’allungarsi dell’età pensionabile, il patto generazionale abbia, come unici destinatari, i giovani. Così, questo progetto, per come viene presentato, risulta ben poco allettante per un senior che si vede, da un lato, costretto ad andare in pensione sempre più tardi e, in più, dall’altra, a rinunciare ad una parte del suo stipendio, se decide di ridurre l’orario. In cambio, otterrebbe la garanzia della contribuzione pensionistica, cui avrebbe diritto se continuasse a lavorare con un contratto full-time!

Quindi, anche laddove la misura venisse pensata come strumento per incentivare l’occupazione dei giovani, rischia di rimanere un progetto infruttuoso, se lo Stato non predispone delle misure per invogliare il senior a ridurre il suo orario (confronta con il contributo del prof. M. Tiraboschi, Lavoro: staffetta, l’illusione del patto generazionale ).

Già nel 2007, quando in Italia si era proposta una staffetta fra generazioni, sostenendo il contratto part-time, l’incentivo per i lavoratori anziani era un’indennità mensile pari al 131% della riduzione retributiva conseguente alla riduzione dell’orario di lavoro; il datore di lavoro aveva diritto ad uno sgravio contributivo pari al 50% della contribuzione previdenziale a suo carico laddove questa misura non pare avere avuto un grande successo, già nel 2007, come si pensa che possa essere il catalizzatore all’occupazione un patto generazione che prevede solo un’integrazione contributiva per il senior in uscita?

Forse, è proprio da questa prima considerazione che ci si spiega come mai in Italia, nel progetto al patto di generazione, si faccia solamente accenno al concetto di tutor da parte del senior, e con esso, al processo di trasferimento delle competenze verso il più giovane, che è invece uno tra gli obiettivi che i francesi promuovono con la loro compagna del contrat de génération.

A sostegno di questa tesi, che vede nel patto di generazione, una misura “mascherata” (e neppure troppo) di uscita anticipata del senior, è utile inoltre sottolineare quanto segue. Per prima cosa, l’intervento dello Stato è previsto al momento della “fuoriuscita” di un lavoratore anziano dal mondo del lavoro, quando forse invece occorrerebbe devolvere quei fondi per un intervento a sostegno dell’impiego o della creazione di nuovo lavoro.

La cosa che porta fuori strada nel progetto del patto di generazione, così per come ci è stato presentato, è il momento in cui si prevede l’intervento dell’aiuto statale. A differenza della Francia che ha individuato quella che poteva essere la difficoltà per le piccole medie aziende nell’attivare il contratto di generazione, ossia i costi per garantire l’impiego di due lavoratori, anziché uno, ed è proprio in quel momento che è intervenuta a loro sostegno, l’Italia pensa di intervenire a sostegno delle aziende, incentivando l’uscita, e “liberandole” di mano d’opera anziana.

In secondo luogo, nel progetto sul patto di generazione non viene nemmeno menzionata l’ipotesi di assunzione di un senior (magari over 50, a condizioni agevolate) rimasto inattivo, per stipulare con lui un patto generazionale. A quanto pare, il concetto di anziano, mal si concilia con il concetto di impiego!

Quindi, un patto di generazione come politica in favore dell’impiego si, ma solo dei giovani. Sicuramente, è opportuno che l’Italia chiarisca i suoi obiettivi e capisca quelle che sono le criticità legate al mondo del lavoro e su quali categorie intervenire.

Solo in questo modo, uno strumento come il patto di generazione potrebbe risultare la chiave per migliorare la situazione lavoro e l’aiuto statale potrebbe intervenire laddove più serve alle aziende per sostenere il progetto. Di certo il contratto di generazione non può essere venduto come una misura per garantire e tutelare i seniors, se viene strutturata come misura per incentivarne l’esodo. A questo punto, non sarebbe forse più corretto, rimettere le mani sull’impianto delle pensioni?

*ADAPT Research Fellow

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