Arriva la rivoluzione delle società benefit (su legge USA). Anche l’Italia ha oggi la sua prima Certified Benefit Corporation. Si tratta di Nativa, società di advisory e design che accelera processi di innovazione che rispettano principi di sostenibilità e opera come business innovation unit della non profit internazionale The Natural Step. Fondata nel 2012 da Paolo di Cesare ed Eric Ezechieli, Nativa è stata creata sul modello americano della Benefit Corporation e, dopo un rigoroso processo di valutazione, ha ottenuto anche la certificazione Certified B Corp messa a punto dall’organizzazione non profit B Labs per verificare chi è veramente “Benefit” (Bene-fit in latino significa «quello che fa bene»). Nativa svolge attività di consulenza e di sviluppo di prodotti e servizi, si occupa di idee e progetti imprenditoriali ispirati da obiettivi di innovazione strategica e attività di design guidate da principi di sostenibilità, attività di training e di promozione in corsi e seminari.

Così recita la prima parte dell’oggetto sociale dello statuto: «Lo scopo ultimo della società è la felicità di tutti quanti ne facciano parte, sia come soci che in altri ruoli, attraverso un motivante e soddisfacente impegno in un’attività economica di successo. La società vuole accelerare una trasformazione positiva nei paradigmi economici, di produzione, consumo e culturali, in modo che tendano verso la sistematica rigenerazione dei sistemi naturali e sociali. Le sue attività mirano a creare un beneficio – inteso come impatto positivo – sulle persone con cui interagisce, sulla società e sull’ambiente di cui è è parte…».

Un modello, quello della Benefit Corporation, nato negli Usa e sostanzialmente inesplorato in Europa come in Italia. «Quando abbiamo costituito Nativa nel 2012 – racconta Ezechieli – il nostro statuto è stato respinto cinque volte di seguito dal Registro delle Imprese prima di essere approvato, non perché fosse errato, ma perché non lo comprendevano! Questo ci ha fatto capire che stavamo mettendo in discussione paradigmi di business ormai obsoleti». Il fondatore spiega a ETicaNews le peculiarità di un modo di fare impresa che sovverte i normali paradigmi, spostando il focus verso il concetto di ottimizzazione attraverso modalità innovative da quello di massimizzazione ad ogni costo dei risultati economici. Un movimento imprenditoriale che negli ultimi anni ha portato alla nascita di quello che viene definito “il quarto settore”, separato dalle attività statali, le imprese for-profit e le non-profit.


LA RIVOLUZIONE DEL QUARTO SETTORE

«Un nuovo settore dell’economia sta emergendo. Si chiamano B Corp e sono tanto potenti da ridisegnare il futuro del capitalismo». Così l’imprenditore sociale, nonché fondatore del Fourth Sector Network, Heerad Sabeti raccontava il fenomeno nel novembre 2011 sulle pagine dell’Harvad Business Review. Si tratta di imprese guidate da imprenditori motivati da obiettivi sociali, che puntano a risolvere i grandi problemi del nostro tempo, e che non possono essere definite né “for-profit” né “nonprofit”: da un lato danno la priorità a una esplicita missione sociale, dall’altro generano profitto e lo distribuiscono agli azionisti. E infatti anche Nativa nel suo statuto precisa: «La società ha l’obiettivo di conseguire sufficiente profitto dall’attività oggetto del proprio operato per sostenere la vitalità commerciale, per finanziare il continuo miglioramento, per distribuire una parte di questi profitti annualmente ai propri soci e per rendere possibile l’avviare altre attività che siano coerenti con il suo scopo ultimo».

«Il denominatore comune delle B Corp - riprende Ezechieli – è condurre un business prospero che genera un beneficio diffuso nel breve, medio e lungo termine per le persone, rigenera l’ambiente e contribuisce a risolvere le grandi sfide del nostro tempo». Negli ultimi quattro anni sono nate già 742 Benefit Corporation in 27 Paesi e 60 industrie, per la maggior parte negli Stati Uniti dove per questo modello di impresa è stato creato uno specifico status giuridico. Un’esigenza che, negli Usa, è maturata 5-6 anni fa in risposta alla marcata pressione sui risultati economici da parte degli azionisti che penalizzava l’azione dei manager in termini di sostenibilità e responsabilità, ingabbiando la creatività nel risolvere i problemi sociali e ambientali. «Nonostante la grande attenzione alla Csr, al Sri e al Global Impact – racconta Ezechieli – ci si accorgeva che le cose non cambiavano in maniera sostanziale per quanto le aziende aderissero a queste iniziative, perché il management stesso era sempre soggetto a essere attaccato da parte degli azionisti se avesse messo in atto azioni che avessero leso il mandato a massimizzare il profitto. Ci si scontrava con un problema legale. Così un pool di avvocati, capendo che si trattava di una difficoltà strutturale, ha inventato la nuova forma giuridica For Benefit che autorizza i manager ad agire nell’ottica di un positivo impatto ambientale o sociale anche se questo riduce i profitti». Una novità che è già legge in 16 Stati degli Usa ed è in fase di approvazione in altri 16 (clicca qui per vedere gli Stati in cui è passata la legislazione).

Il campo di applicazioni è infinito: le B Corp possono occuparsi di energia, commercio che riconosca ai produttori il vero valore del loro lavoro, e potenzialmente qualsiasi prodotto o servizio che incorpori a fondo principi di evoluzione verso la sostenibilità. Certo, un’azienda che fa energia rinnovabile ha la strada più facile rispetto a una che fa petrolio. Oggi tra le B Corp si contano famosi brand come la californiana Patagonia, come Ben & Jerry’s che produce gelati “etici” e fa parte del colosso quotato Unilever, o produttori di beni di consumo come Seventh Generation, piccole aziende locali, ma anche banche e gestori di fondi di investimento. Un fenomeno che viene riconosciuto come uno dei più radicali e promettenti esempi di business model innovation nella storia dell’economia. «Le For-benefit – ha commentato Sabeti dalle pagine dell’Harvard Business Review – non possono sostituire le for-profit, i Governi, o le non-profit; una economia del ventunesimo secolo resiliente e competitiva ha bisogno di tutti e quattro i settori. Ma possono riempire i vuoti lasciati dai fallimenti degli altri tre settori».


ORA SI APRE LA STRADA IN ITALIA

Anche in Italia esistono aziende fondate su questo approccio, come D-Orbit, che sviluppa nuove tecnologie per la sicurezza spaziale ed Equilibrium, che produce materiali innovativi per l’edilizia. Ma in Italia, così come in Europa (in Uk ci sono le “community interest company”), non esiste ancora una legislazione che istituisce la forma giuridica For Benefit. Così Nativa è stata costituita sulle disposizioni legali Usa, ma non ha di fatto uno status giuridico separato dalle altre società. Ma se l’aspetto della forma giuridica è certamente dirompente, una vera Benefit Corporation deve esserlo nel suo dna e nelle sue attività. Ecco perché un pool di giuristi, economisti e accademici ha fondato l’organizzazione non profit B Labs, con il supporto tra gli altri della Fondazione Rockfeller (clicca qui per sapere di più sui fondatori), che ha messo a punto un rigoroso protocollo di analisi (circa 140 punti tra cui la governance, la supply chain, gli impatti ambientali e sociali) per valutare le fondamenta progettuali (atto costitutivo, principi gestionali e compagine azionaria dell’azienda) oltre ai risultati economici, ambientali e sociali. E Nativa è diventata la prima azienda in Italia (e una delle prime in Europa) a superare il test ed essere riconosciuta Certified Benefit Corporation. Si è così aperta la strada per la diffusione del modello e l’approvazione della legislazione in materia anche da questa parte dell’Atlantico.

Elena Bonanni

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