Pensiamo che i lavoratori siano liberi di vendere le proprie prestazioni sul mercato. Ma non è così. Siamo abituati a pensare ai lavoratori come agenti liberi che vendono le loro prestazioni sul mercato del lavoro. I lavoratori propongono un prezzo, le imprese ne offrono uno più basso e il prezzo di mercato si forma nel mezzo. Così funzione l’economia di libero mercato, pura e semplice.
Ma la realtà non è proprio così. Le motivazioni finanziarie dei lavoratori e quelle delle imprese sono completamente diverse tra loro. Dal punto di vista del lavoratore, il beneficio monetario di avere un lavoro è dato da un flusso di reddito, che può finire per colpa di entrambe le parti in qualsiasi momento. Dal punto di vista di un’impresa, un lavoratore è un investimento. Questa divergenza d’interessi non è così ovvia in un contesto di libero mercato. In un altro tipo di mercato del lavoro è, invece, molto più evidente. Sto parlando del mercato degli schiavi.
Sì, lo so che la parola “schiavi” solleva ogni tipo di sdegno, emotivo e politico. La mia intenzione è SOLO quella di analizzare il mercato degli schiavi dal punto di vista finanziario. Da questa prospettiva, ci sono molte più somiglianze che differenze tra il rapporto schiavo/padrone e quello lavoratore/impresa e le differenze non sono necessariamente a favore del libero lavoratore.
Consideriamo la nostra economia schiavista. L’acquisto di uno schiavo è un investimento, esattamente come l’acquisto di un macchinario. Il costo corrente di quell’investimento corrisponde alla quota di ammortamento, definita sulla base di una qualche logica contabile, più le spese che si prevedono di affrontare per il mantenimento dell’investimento nel periodo corrente (vitto, alloggio, spese mediche), più il valore attuale del costo d’uscita (spese per il funerale). Il costo d’uscita può essere evitato vendendo lo schiavo prima che muoia, sempre che esista un mercato secondario degli schiavi anziani. Lo schiavo può “danneggiarsi” (ammalarsi e quindi diventare improduttivo) e aver bisogno di essere “aggiustato”, il che può comportare un costo maggiore del valore dello schiavo stesso- eventualità per la quale l’impresa potrebbe voler stipulare un’assicurazione. Al contrario di un lavoratore libero, lo schiavo non può andarsene per sua libera scelta e non può essere licenziato senza incorrere a una perdita di capitale. Una volta comprato, l’unico modo di eliminare il suo costo corrente è quello di vendere lo schiavo e il prezzo di vendita può essere molto minore del prezzo a cui lo schiavo era stato acquistato.
Per questo motivo, un’impresa comprerà uno schiavo solo se il valore atteso dei guadagni futuri ottenuti dal suo lavoro eccede il suo costo corrente. Come per tutti gli acquisti di capitale, la sima dei flussi di reddito futuri è data da congetture, per cui molto dipende dal grado di fiducia della società verso il futuro. Se l’impresa ha fiducia nel fatto che lo schiavo potrà essere usato in modo produttivo per un periodo sufficientemente lungo di tempo, è probabile che lo compri. Ma se le prospettive economiche sono sfavorevoli e il futuro dello schiavo è incerto, è poco probabile che lo schiavo venga comprato. L’impresa preferirà usare lavoratori liberi.
La principale differenza tra acquistare uno schiavo e assumere un lavoratore libero è costituita dalle risorse da allocare anticipatamente per far fronte alle spese future che comporta l’investimento. Il lavoratore libero è comunque un investimento, ma è come se fosse in leasing invece che di proprietà. I costi correnti consistono nelle spese di assunzione (se ci sono), più il valore attuale delle retribuzioni per il periodo di assunzione previsto, inclusi i benefits e le tasse, e il valore attuale dei costi di uscita previsti (cassa integrazione, pagamenti della pensione). Ci aspetteremmo che la remunerazione di un lavoratore libero sia maggiore dei costi di mantenimento di uno schiavo e che le sue spese d’uscita siano più alte- ma in un mercato del lavoro in difficoltà queste aspettative non sono necessariamente soddisfatte, come sto per dimostrare.
La questione centrale, dal punto di vista dell’impresa, consiste nel fatto che le risorse da allocare anticipatamente sono molto minori. Quando le imprese vogliono accumulare capitale, ma sono preoccupate per il loro futuro, i lavoratori liberi sono un’opzione preferibile agli schiavi. I lavoratori liberi possono essere assunti a un costo molto basso e spesso possono essere licenziati a un costo altrettanto basso soprattutto se assunti con un contratto di prestazione occasionale, a tempo determinato o se lavoratori autonomi. Inoltre il loro flusso di retribuzione può essere limitato al pagamento del lavoro effettivamente svolto. Il vitto e l'alloggio dei lavoratori non è una responsabilità dell’impresa (dato che non sono di sua proprietà).
In un’economia in difficoltà, dove c’è un alto livello di competizione per avere un impiego, i lavoratori liberi possono finire ad essere pagati MENO degli schiavi. Questo è ciò che è realmente successo in certi momenti storici, si pensi alla descrizione fatta da Steinbeck sulle condizioni dei migranti del Midwest americano durante la Grande Depressione, ma ci sono numerosi altri esempi di lavoratori i cui salari caddero sotto il costo della vita, e quindi furono riducendoli alla fame. Quando il lavoro scarseggia, le società tendono a essere meno magnanime con i lavoratori di quanto non lo sarebbero con i loro schiavi. Dopotutto, comprare uno schiavo è un loro asset, mentre un lavoratore libero con contratto a tempo determinato è utile nella misura in cui produce. Faremmo bene a ricordarcelo.
Ovviamente, potrebbe esserci un mercato degli schiavi molto vasto e liquido, in tal caso le società potrebbero comprare e vendere schiavi, nella misura richiesta per soddisfare le esigenze operative. Ci sarebbe comunque il problema delle risorse da allocare anticipatamente, ma per un uso di breve periodo queste risorse potrebbero essere compensate da contratti di vendita futura. A questo punto ci sarebbe poca differenza tra i lavoratori liberi e gli schiavi: gli schiavi sarebbero preferibili perché non possono dare le dimissioni e le società hanno un completo controllo sul loro impiego. Ci potrebbero essere anche agenzie che forniscono schiavi per motivi specifici o in momenti particolari - magari per coprire picchi o cadute nella domanda di produzione, o per coprire la mancanza di personale competente. Le imprese che possiedono questi schiavi altamente specializzati potrebbero guadagnare delle commissioni spedendoli a prestare i loro servizi ai loro clienti. Le imprese potrebbero esternalizzare alcuni rami di produzione funzioni a centri di schiavi, anche in altri paesi. Per favore, ora ditemi: in che modo TUTTO questo differisce dal mercato del lavoro libero? Ora, è chiaro che non abbiamo un’economia di schiavi. Noi abbiamo un libero mercato del lavoro. O almeno, ne siamo proprio sicuri? Rileggi tutto da capo, sostituendo la parola “schiavi” con “robot”. E poi dimmi perché i salari dei lavoratori liberi stanno crollando e perché c’è una spropositata crescita dei contratti a tempo determinato, occasionali, di lavoro autonomo.
Al momento le società stanno accumulando capitale e sono preoccupate per il loro futuro, per questo non è nel loro interesse investire in macchinari- ossia in robot. La loro prospettiva è essenzialmente reattiva e di breve termine, per questo vogliono una forza lavoro che sia a sua volta reattiva e di breve termine. Non vogliono investire in lavoratori di lungo periodo perché il loro addestramento e lo sviluppo sono spese in conto capitale. Non vogliono aspettare la piena produttività: loro vogliono lavoratori che sappiano “atterrare correndo”- hanno la pretesa, impossibile, di avere dei giovani che entrano nella forza lavoro con “esperienza”. Da ogni prospettiva lo si guardi, c’è un problema strutturale nel mercato del lavoro causato dalle società con prospettive di breve periodo che non hanno fiducia nel futuro. Il mercato del lavoro del Regno Unito, da sempre caratterizzato da un alto livello di flessibilità, incoraggia tutto questo- al prezzo della stabilità economica e del benessere delle persone.
Dal mio punto di vista, il maggior problema dell’economia britannica è il fallimento degli investimenti aziendali. Il vero motivo non è del tutto chiaro: ci potrebbe essere una mancanza di opportunità d’investimenti profittevoli, senza un basso livello di fiducia negli affari e una domanda stagnante di beni e servizi. Ma sacrificando la protezione all’occupazione e incoraggiando la crescita di lavori instabili, insicuri e di breve-periodo, stiamo peggiorando la situazione. Non sto dicendo che bisogna scegliere tra investire in robot o nel personale: il fatto è che le società non stanno investendo in nessuno dei due quando potrebbero investire in entrambi. Stanno producendo una forza lavoro sempre più insicura e impoverita- benché nominalmente libera. E noi siamo tutti più poveri per questo.
di Frances Coppola
articolo originariamente pubblicato su Pieria, il 7 maggio 2013
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