L'omosessualità non è una malattia mentale. 23 anni fa l'Organizzazione mondiale della sanità decide di non considerare più patologico l'orientamento omosessuale. E il 17 maggio diventa la giornata mondiale contro omofobia e transfobia.

di Sandro Iannaccone

No, l' omosessualità non è una malattia. La scienza lo ha stabilito ufficialmente il 17 maggio 1990, ventitré anni fa, quando l' attrazione sentimentale e sessuale tra individui dello stesso sesso è stata ufficialmente rimossa dalla lista delle malattie mentali stilata dall' Organizzazione mondiale della sanità. Quattordici anni più tardi, nel 2004, Louis-Georges Tin decise di commemorare il fatto fondando l' Idahobit, acronimo per International Day Against HOmophobia, BIphobia and Transphobia. Si tratta di un evento annuale che mira a coordinare le iniziative nazionali e internazionali che sollevano l'attenzione sulle violazioni dei diritti subite dalle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali).

Già 38 anni fa l' American Psychiatric Association (Apa) prese atto dell' assenza di prove che giustificassero la classificazione dell'omosessualità come patologia psichiatrica, cancellandola dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, o Dsm, il suo elenco di malattie mentali. A spingere per questa decisione furono le ricerche della psicologa Evelyn Hooker su soggetti non psichiatrici: nel suo studio L'adattamento psicologico del maschio omosessuale dichiarato, la scienziata aveva somministrato dei test a gruppi di omosessuali ed eterosessuali, chiedendo poi a esperti di discernere chi appartenesse all'uno o all'altro orientamento senza conoscere i soggetti. L'esperimento dimostrò inequivocabilmente che gli omosessuali non sono meno psicologicamente adattati rispetto al resto della popolazione: la cosiddetta scelta omosessuale, dunque, non andava considerata come derivante da un subconscio malato senza il quale gli omosessuali avrebbero scelto l'eterosessualità.

Nonostante questi risultati, non fu facile convincere il resto della comunità scientifica. Altri psichiatri dell'Apa contestarono duramente gli studi della Hooker e la proposta di rimuovere l'omosessualità dall'elenco, sostenendo che si trattasse comunque di una malattia mentale che poteva essere curata. Si arrivò così alla decisione – piuttosto insolita – di indire un referendum tra i membri dell'Apa. La votazione si tenne per posta e confermò la scelta di cancellazione. La data era sempre la stessa: 17 maggio.

Tutto questo avveniva nel 1973. Quattro anni più tardi, il Québec divenne il primo stato al mondo a proibire a livello giuridico la discriminazione sulla base dell'orientamento sessuale (anche se in realtà i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso erano già stati parzialmente decriminalizzati in Polonia, Danimarca, Svezia e Regno Unito). La questione iniziò a diventare sempre più dibattuta: negli anni Ottanta e Novanta, quasi tutte le nazioni sviluppate adottarono provvedimenti per decriminalizzare i comportamenti omosessuali e le discriminazioni private e sul luogo di lavoro.

Nel 1990, finalmente, si convinse anche l' Organizzazione mondiale della sanità. E decise che da quel momento in poi l' omosessualità non sarebbe stata più considerata una malattia mentale. Quella che oggi può sembrare una scelta ovvia, tuttavia, all'epoca non lo era (ancora) affatto. E d'altronde neanche adesso lo è ovunque. In India, per esempio, l'omosessualità è stata decriminalizzata solo nel 2009. E molti paesi del Medio Oriente continuano a ritenerla un comportamento illegale. O una patologia.

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