«Il non profit italiano è a un bivio: o continuare così, con il modello degli operatori sociali, magari innovando e razionalizzando oppure intraprendere la via dell’imprenditoria sociale». Stefano Zamagni, professore di Economia politica all’Università di Bologna ed ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore guarda avanti e mette a fuoco la trasformazione in atto nel non profit, conseguenza diretta della crisi economica che sta colpendo il pubblico: l’operatore sociale si deve trasformare in imprenditore sociale.
«Dal secondo dopoguerra — spiega Zamagni — il terzo settore è stato alimentato finanziariamente soprattutto dagli enti pubblici, in particolare da Comuni, Province e Regioni, e in parte dallo Stato. L’expertise richiesto agli operatori era meramente esecutivo: eseguire le linee che provenivano dall’ente finanziatore. E i nostri operatori sono diventati degli esperti nella qualità tacita».
Ma la situazione generale è cambiata, le casse statali soffrono e gli enti pubblici non hanno più le risorse del passato. «La soluzione è la via dell’imprenditoria sociale: le organizzazioni non profit devono diventare soggetti in grado di trovare le risorse per realizzare i progetti, come avviene nell’imprenditoria privata».
Com’è possibile condurre la transizione? Secondo Zamagni si deve intervenire a tre livelli: istituire un’Authority nazionale, necessaria per evitare le degenerazioni; favorire la crescita culturale e manageriale a livello universitario «perché un conto è eseguire, un conto è fare l’imprenditore».
Mettere in pratica il modello della «sussidiarietà circolare» tra ente pubblico, soggetti non profit e imprese private, «creando alleanze strategiche in grado di progettare e realizzare quegli stessi progetti, un modello che all’estero già funziona». Ma per Zamagni è importante «avere la saggezza di capire che serve tempo e dunque si deve evitare di mandare al macero il vecchio modello che ha funzionato bene per 30-40 anni».
In questa direzione va lo sforzo della Fondazione Ernst & Young, che a luglio farà partire dei corsi gratuiti per «diffondere nel settore del non profit nuovi modelli di governance e di gestione». L’obiettivo — spiega Donato Iacovone, amministratore delegato di Ernst & Young — è generare 5 miliardi di euro di efficienze da destinare a scopi speciali».
In Italia le organizzazioni non profit sono circa 475 mila e gestiscono circa 50 miliardi di euro (quasi il 3% del Pil nazionale). «Dopo un tavolo di lavoro con una trentina di associazioni — racconta Iacovone — abbiamo definito un piano di formazione che riguarda la finanza e il controllo, la governance per imparare come relazionarsi con i soci e la gestione delle risorse umane. La razionalizzazione può portare a un recupero del 10%».
La richiesta è arrivata dalle associazioni: «Tutti si sono posti il problema di risparmiare e di fare fund raising sul serio, fare marketing tradizionale e sul digitale». Si tratta di un passaggio importante perché il terzo settore sta crescendo e ora «offre i servizi che prima offriva lo Stato». Ma è necessario un cambiamento. «L’ente pubblico — conclude Zamagni — non ha più l’energia per finanziare il non profit. La vecchia via potrà resistere per qualche anno, il futuro è l’imprenditoria sociale».
di Francesca Basso