Dalle Dame di carità al volontariato moderno. Un mondo il cui valore stimato ammonta a 8 miliardi di euro. A cui si sommano i 38 miliardi di entrate delle istituzioni non profit.

di Giorgio Fiorentini

Il volontariato, come servizio gratuito organizzato, fa parte della tradizione storica italiana. Ha avuto nomi diversi: le Misericordie nel ‘200, le Dame della carità nel ‘600, le Pubbliche assistenze nel Risorgimento. Oggi i circa 3,2 milioni di volontari italiani rappresentano il lavoro equivalente di circa 385.000 dipendenti funzionali e a essi si aggiunge il personale retribuito delle imprese sociali non profit (630 mila persone). L’equivalente di un milione di operatori del bene comune. Sommando il valore economico del volontariato stimato (quasi 8 miliardi di euro, calcolati con il metodo del costo di sostituzione) al volume delle entrate delle istituzioni non profit (circa 38 miliardi) si può affermare che il peso economico del settore è al di sopra del 4% del prodotto interno lordo ai prezzi di mercato.

La crisi economica sottolinea l’indispensabile ruolo strutturale (ma non riparativo) del volontariato e del non profit in generale. I dati di questa realtà operante ci dicono che fare volontariato in Italia è sicuramente parte integrante e utile per il sistema paese e spiegano la presa diretta sui problemi della società. Oggi il volontario dona tempo qualificato e professionalizzato alle persone svantaggiate in un rapporto di scambio virtuoso e di fiducia: si dà e si riceve. Dal punto di visto economico aziendale fare il volontariato vuol dire produrre ed erogare servizi efficienti ed efficaci e scambiare in modo non simultaneo, ma proporzionale, valori economici/meta economici e di reciprocità in modo organizzato e in una logica di imprenditorialità sociale. Attenzione, però: nella nostra società la relazione di reciprocità continua a essere confusa con quella di scambio di equivalenti che si basa sul prezzo e sulla simultaneità. Bisogna superare la concezione del volontariato come opzione neoliberista utile al "capitalismo compassionevole" ed anche come opzione statalista e “ruota di scorta” funzionale del sistema pubblico. Il volontariato è ormai un “lavoro di servizio e di reciprocità” che, al di là delle attività del volontario come singolo, funziona e sviluppa la massima efficacia se collocato all’interno di organizzazioni strutturate (che chiamiamo imprese sociali non profit) in un contesto tripolare del sistema socio-economico integrando le imprese profit, le imprese sociali non profit e le aziende pubbliche.

Il lavoro volontario prestato all'interno dell’impresa sociale non profit deve essere sempre più professionalizzato e richiede competenze, conoscenze, abilità al servizio della reciprocità finalizzate, direttamente o indirettamente, alla produzione di un servizio o di un bene nell'ambito di una struttura “giuridicamente, istituzionalmente e aziendalmente formalizzata” che ha come destinatari persone, segmenti di popolazione, enti. Essi sono i clienti delle organizzazioni di volontariato. Quindi fare volontariato è attività che si sceglie di fare e rispetto alla quale non intervengono quei condizionamenti pressanti che sono alla base del rapporto di lavoro, ma anche tempo messo a disposizione per l’assetto socio-assistenziale, sanitario, artistico-culturale. E inoltre per il lavoro domestico, per istruzione ed educazione di bambini, per il welfare integrativo e il secondo welfare delle imprese profit, per risolvere la complessità dei problemi di vita quotidiana specialmente nelle relazioni con le istituzioni.

Chiaramente, il paradosso di “lavorare gratuitamente” in una società che ha regolato tutto il sistema delle attività organizzate in base al codice del denaro e dell'avidità (il livello di remunerazione raggiunto assume la valenza d’indicatore di status sociale e dell'importanza attribuita dall'organizzazione all'attività prestata) influenza sia gli aspetti soggettivi del lavoro volontario (motivazioni, aspettative, senso di appartenenza), sia le modalità di gestione delle risorse umane non retribuite. Si tratta cioè di capire in che modo ottenere dai volontari un comportamento organizzativo integrato, pur nell'impossibilità di far leva sugli strumenti tradizionali di controllo e indirizzo delle performance individuali (incentivi economici e carriera, sanzioni, ecc.).

Una figura, quella del volontario, che in conclusione oggi che deve essere vista come quella di un dipendente funzionale, per quanto non retribuito, che l’impresa sociale deve saper gestire al meglio. Affinché sia pienamente un pezzo fondamentale dell’Italia utile.

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