Homeless, Cie e malati di Chagas: è in questi tre ambiti che Medici Senza Frontiere Italia intende concentrare il proprio impegno. Ce ne parla il Presidente, Loris De Filippi.
«Dobbiamo ridinamizzare la nostra vita associativa, che si era fermata negli ultimi anni». Loris De Filippi, di Udine, operatore storico di Medici Senza Frontiere e da poco eletto presidente della “missione Italia”, sintetizza così i propositi personali e dell’organizzazione che nel 1999 ottenne anche il premio Nobel per la Pace. Loris De Filippi è una persona nota per la capacità di coniugare l’azione di intervento umanitario con gli interventi di denuncia. I rapporti di Msf redatti in alcuni periodi, quando alla presidenza dell’organizzazione c’era Nicoletta Dentico, divennero veri e propri atti di accusa contro le inadempienze di gran parte della politica, l’assenza dello Stato nelle condizioni di emergenza, il silenzio mediatico. È del gennaio 2004, per esempio, il rapporto sui Centri di permanenza temporanea (oggi Centri di identificazione ed espulsione), vero e proprio atto di accusa rispetto alle condizioni dei migranti detenuti. Dal maggio dello stesso anno gli operatori di Msf vennero interdetti dall’ingresso ai centri. Poco più di un anno dopo, un altro rapporto durissimo già nel titolo I frutti dell’ipocrisia. Un lavoro di indagine e di intervento sanitario sui tanti lavoratori in agricoltura del meridione, venne presentato nella sede della Stampa Estera, a Roma. Sul tavolo della presidenza, arance e pomodori, gli stessi che venivano raccolti per pochissimi euro al giorno nelle campagne e consumati serenamente nelle nostre tavole ignorando i livelli di sfruttamento e di vero e proprio schiavismo con cui venivano prodotti. Altra denuncia pesante verso le tante connivenze riscontrate, testimonianze pesantissime emerse anni prima le rivolte di Rosarno, Castel Volturno, Nardò a cui seguirono minacce. Poi il lavoro di Msf in Italia subì un rallentamento, Loris De Filippi andò ad operare ad Haiti ed in altri vari paesi in emergenza, quindi a Bruxelles ed ora, con maggiori responsabilità è tornato in Italia.
«Dobbiamo impegnare meglio e di più i nostri operatori umanitari, il personale degli uffici di Roma e Milano, i 12 gruppi sui diversi territori – continua De Filippi – sono loro che svolgono il lavoro più importante, sono i nostri occhi, le nostre voci e le nostre mani nelle varie aree del Paese. Io mi sono posto, insieme a tutto il consiglio direttivo, l’obiettivo di rendere più “movimentista” e attivista la nostra organizzazione. Noi fuori dall’Italia lavoriamo nei paesi in crisi, ma l’impegno come testimoni è parte fondamentale della nostra storia. Questo è stato poco marcato negli ultimi periodi nel lavoro in Italia. È mancato l’equilibrio fra l’azione medica e il ruolo di informazione e testimonianza. Dobbiamo poi riprendere un impegno nella società civile partendo da un percorso già iniziato tanti anni fa sui temi dell’immigrazione che negli ultimi anni è andato scemando anche per il proliferare di organizzazioni che agivano sulla questione. Oggi, data la crisi economica e politica, è importante tornare a fare quello che facevamo. Dobbiamo agire sugli stessi temi ma con la capacità di innovare». E Loris De Filippi racconta di una Italia diversa e peggiorata in pochi anni. «Ci siamo occupati durante lo scorso inverno dell’emergenza freddo a Milano e ci siamo ritrovati non solo con immigrati, ma anche tanti autoctoni senza fissa dimora. E a questo si aggiungono non solo le patologie da freddo, ma anche i problemi derivanti dal nostro sistema del welfare. Mancano le cure intermedie. Gli ospedali intervengono ma poi scaricano le persone, spesso occorrono cure continuative che non si riesce a somministrare. Chi è senza fissa dimora raramente torna in ospedale e le patologie si cronicizzano. Questa è una faglia del nostro welfare. Noi interveniamo facendo cose che deve fare lo Stato e non vogliamo sostituirci ad esso. Proviamo a fare qualcosa per indicare schemi percorribili. Vorremmo in futuro riprodurre il modello degli ambulatori per gli “stp” (stranieri temporaneamente presenti), ambulatori che poi abbiamo passato alle Asl.
Per quanto riguarda l’immigrazione, vogliamo riprendere da dove avevamo interrotto il nostro impegno, tenendo conto del fatto che la crisi ha sottratto le già poche risorse disponibili. Ma per noi restare fuori da questo problema è inaccettabile. Quindi torniamo ad occuparci degli sbarchi, dello sfruttamento dei lavoratori stagionali e siamo già tornati nei Cie. Per quanto riguarda i centri, vogliamo poter screenare e curare le patologie che stanno aumentando, oggi più di 10 anni fa. All’epoca, quando trovammo nei centri persone che sputavano sangue, ci impuntammo per far almeno chiudere posti come il “Vulpitta” a Trapani. Minacciammo di alzare un gran polverone e quel lavoro silente funzionò almeno in parte. Il ministero della Salute e quello dell’Interno ci hanno dovuto ascoltare». Il presidente di Msf Italia antepone una riflessione di carattere generale a progetti ben definiti: «Come consiglio direttivo vogliamo riconnetterci con la società civile, con le realtà più attive. Siamo stati per troppo tempo autarchici, abbiamo dato troppo peso alla nostra indipendenza. Invece dobbiamo metterci in network con gli altri tavoli presenti nei territori, essere dove si fa e dove si discute per tornare a fare insieme. Intanto partiamo con una missione esplorativa, lavorando in diverse città italiane per garantire le cure intermedie per nuovi e vecchi poveri. Stiamo iniziando a lavorare in Sicilia, dove parte la filiera che dagli sbarchi porta al lavoro schiavistico degli stagionali. Abbiamo la percezione che a breve termine le cose potrebbero complicarsi. Poi vogliamo riprendere l’intervento sanitario nei Cie per garantire controllo e cura della Tbc per coadiuvare le autorità ad elaborare un protocollo migliore e un impegno. La Tbc è presente nei Cie ma anche nelle tante realtà di “accoglienza informale” dove manca qualsiasi sistema di cura e di profilassi. Qualcuno ancora si ricorda di quello che a Roma era chiamato “Hotel Africa” (una comunità di centinaia e centinaia di rifugiati che avevano occupato parte della stazione Tiburtina, che stava per essere demolita). Beh oggi di situazioni simili ce ne sono molte di più e di interventi pochissimi».
Da ultimo, Loris De Filippi racconta di un progetto iniziato da poco e che implica un collegamento fra le equipe che operano in America Latina e quelle che sono in Italia. «Si tratta della “malattia di chagas” che è endemica negli ambienti più poveri dell’America Meridionale. La trasmette un piccolo insetto e può restare asintomatica anche per 20 anni. Quando comincia a manifestarsi diviene degenerativa e cronica, può portare anche alla morte. I problemi si manifestano soprattutto in età adulta. E ci sono numerose persone che provengono da quei paesi che si ammalano in Italia. Se presa in tempo può essere curata e si garantisce una speranza di vita molto lunga. Noi abbiamo aperto ambulatori a Bergamo e a Milano dove c’è una forte presenza Latinoamericana e adesso apriamo anche a Roma, in questa maniera possiamo intervenire prima che la patologia si manifesti». Anche Msf oggi fatica a sopportare i costi della propria attività, attualmente in Italia ci sono 15 loro medici operativi, ma se si realizzano i progetti di cura continuativa ne occorreranno altri. E trovare finanziamenti non sembra facile. «Ma dobbiamo anche rivendicare il fatto che dei 35 ambulatori per stp attivati negli anni ben 28 ancora sono funzionanti. – Conclude De Filippi – A Ragusa abbiamo creato posti di lavoro a mediatori sociali per stranieri che avvicinano alla possibilità di curare le proprie patologie. Si tratta di piccole cose che però potrebbero coinvolgere e interessare una parte importante della società civile».
Stefano Galieni