Il 13 per cento dei lavoratori italiani percepisce salari al di sotto dei minimi contrattuali. In tutti i paesi si riscontra il mancato rispetto del salario minimo ma l’Italia si aggiudica il record negativo con molte lunghezze di vantaggio.
Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo uscente, ha recentemente ribadito la proposta che aveva già lanciato in passato di un salario minimo europeo. Juncker pensava di ingraziarsi i favori dei lavoratori dopo mesi di austerità. Le reazioni di diversi sindacati, invece, non sono state tutte positive. In Italia Susanna Camusso ha risposto: “E’ una proposta che noi non condividiamo (…) il contratto nazionale è uno strumento insostituibile”. Non diverso Raffaele Bonanni: “No al salario minimo, indebolirebbe la contrattazione che in Italia dà garanzie più forti”.
E’ davvero così? La ricerca economica si è concentrata quasi esclusivamente sui paesi con salari minimi nazionali come la Francia e quasi mai sui paesi in cui i salari sono negoziati a livello settoriale come l’Italia, ma anche l’Austria, la Germania e i paesi scandinavi.
In uno studio con Stephan Kampelmann e François Rycx dell’Université Libre de Bruxelles in corso di pubblicazione per l’Istituto sindacale europeo (ETUI), abbiamo raccolto per la prima volta i dati dei salari minini contrattuali in oltre 1100 contratti collettivi in sei paesi europei senza un salario minimo nazionale (Italia, Germania, Austria, Finlandia e Danimarca oltre al Belgio che ha un sistema duale in cui la negoziazione collettiva si aggiunge ad un salario minimo nazionale). L’esercizio è complesso: i contratti sono estremamente numerosi e all’interno di ogni contratto, poi, ogni figura professionale ha il suo minimo. Per semplificare, abbiamo fatto riferimento ai contratti che coprono il maggior numero di lavoratori (per l’Italia i circa 80 settori che l’ISTAT recensisce per calcolare l’indice delle retribuzioni contrattuali) e abbiamo estratto il valore salariale più basso da ognuno.
Figura 1: Indice di Kaitz (salario minimo/mediano) in Europa (media 2007-2009)I risultati, confermati da un’analisi econometrica, mostrano effettivamente che i paesi con contratti collettivi (in rosso nella Figura 1) tendono ad avere in media salari minimi più elevati rispetto ai paesi con salari minimi nazionali (in blu nella Figura 1)in proporzione al salario mediano (non potendo comparare direttamente i valori assoluti a causa di differenze di prezzo e produttività, si fa riferimento all’indice di Kaitz, che misura proprio l’incidenza del salario minimo sul salario mediano).
L’Italia in particolare è il paese europeo con i salari minimi più elevati in proporzione al salario mediano. Visto così il contratto nazionale sembra davvero dare garanzie più forti rispetto a un minimo nazionale, soprattutto in Italia. Esistono ovviamente differenze molto marcate attraverso i settori (Figura 2): in alcuni il salario minimo contrattuale è perfino superiore al salario mediano, in particolare nell’edilizia (F), agricoltura e pesca (A) e nel settore degli hotel e della ristorazione (I).
Figura 2: Indice di Kaitz (salario minimo/mediano) per settore in Italia (media 2007-2009)Com’è possibile? Se il salario minimo fosse davvero rispettato, il salario mediano dovrebbe essere superiore o al massimo uguale. Sicuramente ci possono essere degli errori di misura, sia del minimo contrattuale sia del reddito dichiarato dal lavoratore nell’inchiesta europea sui redditi e le condizioni di vita (EU-SILC). In realtà, i risultati della nostra ricerca mostrano che il salario minimo non è sempre rispettato. Nonostante i salari minimi in termini relativi siano molto elevati in Italia essi lasciano scoperta una fetta importante di persone. Ciò avviene nei casi di lavoro nero o semplicemente quando il datore di lavoro deliberatamente (o per sbaglio se il sistema è complesso) paga meno del dovuto. Inoltre, nei settori in cui altre forme di remunerazione come le mance rappresentano una fonte di entrata significativa, il riferimento contrattuale potrebbe essere meno rilevante.
Infine, e più grave perché perfettamente nei confini della legge, i contratti nazionali non danno garanzie alle forme di impiego precario (tipo i contratti a progetto) o a chi lavora a prestazione. Il contratto nazionale garantisce un salario più elevato ma al prezzo di una fetta crescente di persone escluse. In tutti i paesi una parte di lavoratori, anche in presenza di un salario minimo nazionale che in teoria dovrebbe applicarsi per legge a tutti, guadagna meno del corrispettivo previsto. In Germania questo problema (cresciuto con il proliferare dei mini-jobs) è alla base del crescente consenso per un salario minimo nazionale, almeno per alcuni settori. L’Italia, però, è il paese con la quota di persone “escluse” più elevata (Figura 3), circa il 13 per cento, con picchi di oltre il 40 per cento nel settore dell’agricoltura, del 30 per cento nelle costruzioni e oltre il 20% nelle attività artistiche e intrattenimento e nei servizi di hotel e ristorazione.
Figura 3: Proporzione di persone non coperte dal salario minimo in Europa (a sinistra) e nei settori italiani (a destra)I sindacati hanno quindi ragione sulla carta: la contrattazione garantisce un salario più elevato, ma solo a chi ne è effettivamente coperto. Una fetta importante, e probabilmente crescente, ne rimane esclusa. Il sistema così com’è quindi non basta. La via preferita dai sindacati per ridurre il numero degli esclusi è quella di includere i precari nella contrattazione collettiva. Sicuramente utile, ma ancora più efficace se accompagnata a un salario minimo (o equo compenso) davvero di base per tutti. Un sistema duale, come quello in vigore in Belgio e come quello che si sta discutendo in Germania. Tuttavia, il problema non è solo di sistema di negoziazione: anche in alcuni paesi con un salario minimo nazionale come la Francia, la percentuale di esclusi è elevata. Dalla nostra analisi, infatti, emerge un chiaro arbitraggio, un trade-off direbbero gli economisti, tra un salario più elevato e il numero di persone effettivamente coperte. In parole povere, la coperta è corta e bisogna trovare un equilibrio tra il giusto valore del salario minimo e il numero di persone che ne potranno davvero giovare.
Andrea Garnero
Ph.D. candidate in economia del lavoro presso la Paris School of Economics e l’Université Libre de Bruxelles. Si è laureato all'Università e al Collegio superiore di Bologna e ha proseguito i suoi studi presso la Paris School of Economics e l'Ecole Normale Supérieure di Parigi. In precedenza, ha fatto uno stage all’Ocse e lavorato come economista alla Commissione Europea. Si occupa di economia per Lo Spazio della Politica e collabora con l’AREL, Limes e Quorum.