Quando una madre dà alla luce un figlio, la Terra si illumina di una nuova luce. Ma nel Sud del mondo la condizione di madre è ancora minacciata da troppi ostacoli.
Una madre dovrebbe essere festeggiata 365 giorni all'anno e non solo quando ricorre la Festa della Mamma, perché dare la vita è un miracolo. Sono affermazioni che capita talvolta di ascoltare o pronunciare ma che, se riferite al Sud del mondo, acquisiscono un significato completamente diverso. Hanno un sapore amaro.
Non potrebbe essere altrimenti, quando ogni giorno 800 donne muoiono per cause legate alla gravidanza o al parto, in media una donna su 30. Nell'Africa subsahariana, per esempio, dal 10 al 20 per cento delle donne incinte è sottopeso, molte sono troppo giovani, servizi e operatori sanitari di base non sono adeguati o sono troppo lontani.
Come si può soltanto immaginare il dolore che accompagna spesso la maternità in quei Paesi dove, ogni anno, 1 milione di nuove vite si spengono nelle prime 24 ore e 3 milioni di neonati non superano il mese di vita? E cosa pensare della condizione delle donne, ancor prima che delle madri, quando un Paese che sta vivendo una crescita economica vertiginosa come l'India detiene il primato delle morti durante la gravidanza o il parto?
"È evidente che dove le madri sono più forti dal punto di vista fisico, finanziario e sociale, i figli hanno più possibilità di sopravvivenza", afferma Valerio Neri, direttore generale di Save the Children all'indomani della pubblicazione del 14° Rapporto sullo Stato delle madri nel mondo curato dall'associazione.
"Le donne più informate fanno figli quando il loro corpo è pienamente sviluppato, si nutrono meglio e programmano le nascite distanziandole opportunamente", prosegue. "Questo è sicuramente il primo grande fattore di una maternità sana e consapevole".
Probabilmente ciò che più mette rabbia di questa situazione è che la gran parte delle cause di mortalità infantile nel Sud del mondo sono effettivamente prevenibili e curabili: infezioni, prematurità, complicazioni da parto.
Lo dimostrano chiaramente i progressi compiuti da Paesi come il Malawi, che è riuscito a ridurre la mortalità infantile sotto i 5 anni del 44 per cento, grazie al capillare intervento delle organizzazioni umanitarie, congiunto a una ferma volontà politica dello stesso Stato africano.
La formazione professionale di molti operatori sanitari di base è stata il primo passo determinante. Per esempio, si è diffusa rapidamente tra le madri la cosiddetta tecnica del "Kangaroo Care", che consiste nel mantenere i neonati sottopeso in costante contatto con la pelle e il seno della madre.
Altrove, come in Bangladesh o in Nepal, l'aumento degli operatori sanitari sul territorio o l'adozione di semplici tecniche per evitare le infezioni del cordone ombelicale hanno contribuito ad analoghi progressi: rispettivamente meno 49 e 47 per cento.
La strada da percorrere è comunque ancora lunga. Anche perché il benessere materno-infantile, non solo nel Sud del mondo, non dipende unicamente da condizioni igienico-sanitarie. Infatti, spesso molte madri si ritrovano da sole a dover provvedere alla cura dei figli.
Come nel caso di Beatrice, 36enne ruandese del distretto di Gicumbi e madre di 6 figli, abbandonata dal marito. Nonostante tutto, Beatrice ripete che non sono importanti le circostanze o i lavori che si è costretti a fare per sostenere i propri figli. Contano l'amore e lo spirito indomito che una madre dimostra quando è in gioco la salute e il benessere di un figlio.
Per pagare le rette scolastiche e i materiali di studio di tre dei suoi figli, quindi, Beatrice lavorava pulendo le vetrine dei negozi: un impiego che però le permetteva di raccogliere l'equivalente di meno di 20 euro al mese. Una somma insufficiente. Fino a quando Beatrice non incontra il progetto di Avsi e Mlfm "Acqua, sorgente di vita!" che coinvolgeva la popolazione come manodopera non qualificata per la riabilitazione dell'acquedotto di Rutare. Un lavoro stabile, uno stipendio migliore, le rette scolastiche dei figli pagate. E la possibilità di un futuro migliore per Beatrice e i suoi sei figli.
Angelica è una donna di 39 anni del Mozambico che ha conosciuto più volte l'abbandono. A 3 anni, quando è rimasta orfana. 13 anni fa, quando anche la vista l'ha abbandonata ed è rimasta completamente cieca. O 5 anni fa, quando è rimasta incinta e il suo compagno se n'è andato via. Quando è nata sua figlia Sara, Angelica era sicura di una cosa: non avrebbe mai abbandonato la sua bambina.
Con l'aiuto di suo fratello che le ha donato un piccolo terreno nelle vicinanze di Maputo, Angelica è riuscita a costruire una piccola casa e a coltivare un orto che sfamasse lei e la sua bambina. Dopo tutti i sacrifici compiuti, questa donna coraggiosa ha incontrato un religioso, padre Humberto, che presta servizio al Centro Nutricional São Miguel, un asilo di Maputo appoggiato dal programma di Sostegno a distanza di Avsi.
Padre Humberto ha proposto ad Angelica di partecipare a un corso di scrittura braille e ha accolto la piccola Sara al Centro. Oggi madre e figlia fanno insieme in autobus il lungo tragitto che le separa dalla città, ogni giorno, di mattina presto. Angelica può imparare a leggere e scrivere nel codice dei non vedenti; Sara frequenta quotidianamente il Centro e non ha mai fatto un giorno di assenza. La bambina arriva sempre pulita e vestita in ordine. Angelica ha mantenuto la sua promessa.
Madre Teresa di Calcutta era solita dire che non si compiono grandi azioni. Si possono solo fare piccoli gesti con un grande amore. Piccoli gesti come assistere costantemente durante la gravidanza Provati, una giovane donna di uno slum di Dhaka in Bangladesh.
Per Provati e suo marito, già genitori di un figlio, la vita non era senz'altro semplice in una bidonville e l'impiego della donna come lavoratrice tessile in un edificio fatiscente era tutt'altro che sicuro, salubre o ben pagato. Eppure Provati, nonostante la stanchezza e le difficoltà quotidiane, continuava a sorridere con la discrezione propria delle donne di quella terra.
Provati era fiduciosa sulla buona riuscita della sua gravidanza, perché tutte le settimane riceveva a casa la visita di operatrici sanitarie del Brac (associazione nata nel 1972 come Bangladesh Rural Advancement Committee), che si assicuravano delle sue condizioni fisiche e psicologiche. Quando è arrivato il momento, Provati è stata portata in un Centro del Brac dove, nonostante un parto difficoltoso, ha dato alla luce una bambina in perfetta salute.
Proprio come Provati, altre 25 milioni di donne in Bangladesh hanno ricevuto assistenza durante la gravidanza e il parto grazie al programma Brac, attuato grazie alla formazione prima e al reclutamento poi di personale sanitario locale. In larga parte grazie ad esso, il tasso di mortalità per le madri è sceso da 800 morti ogni 100 mila parti a 194.
Nel 2013 tanti progressi sono stati fatti, sia dal punto di vista sanitario sia socio-educativo. Ma ancora tanti, troppi ostacoli relegano in molti Paesi in via di sviluppo (ma non solo) la donna in una posizione marginale. Cosa che si riflette inevitabilmente sugli standard di benessere materno-infantile. Invece il Sud del mondo dovrebbe illuminarsi sempre più del sorriso delle sue madri. Sarebbe un segnale decisivo per indicare che quei Paesi sono sulla giusta strada.
Francesco Rosati