Lunedì 6 maggio presso il Teatro Regio di Torino si è volto il convegno “Un’impresa comune. Riprogettare il welfare”. L’evento, organizzato da Compagnia di San Paolo e Fondazione Cariplo, ha cercato di individuare le grandi sfide che il welfare state italiano si trova a dover affrontare, ponendo particolare attenzione al ruolo che le fondazioni di origine bancaria possono ricoprire per favorirne il superamento. Grazie alla partecipazione di accademici, amministratori pubblici e operatori del terzo settore, il convegno ha offerto interessanti spunti di discussione che di seguito proviamo a offrirvi, in attesa che vengano pubblicati gli atti completi.

di Lorenzo Bandera


Le sfide

Tre sono le questioni che sono state indicate come prioritarie in questo difficile momento storico e altrettante le ipotesi di lavoro.

In primo luogo, a seguito della diminuzione delle risorse disponibili, occorre interrogarsi sulla scarsa efficacia di molti strumenti di intervento sociale presenti nel nostro Paese e sulla possibilità di raggiungere i medesimi obiettivi di efficienza attraverso misure meno costose. In questo senso occorrerà riqualificare la spesa, sia pubblica che privata, e mirare a una maggiore corresponsabilizzazione di tutti gli attori coinvolti nei diversi processi sociali, compresi gli stessi utenti e beneficiari.

Secondariamente, appare necessario superare il carattere prevalentemente risarcitorio del nostro sistema di welfare, principalmente concentrato sulle risposte ai bisogni di carattere emergenziale ma poco attento alla prevenzione degli stessi e alla gestione dei rischi. Appare quindi indispensabile lo sviluppo di un sistema che punti maggiormente alla responsabilizzazione e alla valorizzazione delle persone e delle comunità in un’ottica di empowerment.

In terzo luogo, occorre incoraggiare la creazione di sistemi di governo dei servizi che siano in grado di connettere virtuosamente le risorse pubbliche e private presenti sui territori. Almeno a livello locale, la creazione di reti di collaborazione appare la via più auspicabile per la realizzazione di modelli innovativi in questo senso.


Il punto di partenza

Sergio Chiamparino, presidente della Compagnia di San Paolo, aprendo i lavori del convegno ha spiegato come le criticità economiche degli ultimi anni stiano mettendo in forte discussione la coesione sociale del nostro Paese e chiedano pertanto risposte urgenti. Serve costruire un paradigma di giustizia sociale diverso, che vada oltre la tutela e l’assistenza e che metta al centro la valorizzazione dell’individuo e delle comunità.

Per far questo, ha sottolineato Chiamparino, è necessario capire che la società è cambiata, che i bisogni degli individui sono cambiati, e che il settore pubblico non è più in grado di rispondere da solo alle crescenti richieste a cui è sottoposto. Occorre che si crei un circuito virtuoso tra attori diversi, tra pubblico, privato, mondo sociale, finanza etica e fondazioni. Proprio queste ultime, essendo a stretto contatto oramai da diversi anni con le problematiche accennate, posseggono competenze adatte ad accompagnare lo sviluppo delle future politiche sociali del Paese.

Sulla stessa lunghezza d’onda il sindaco di Torino, Piero Fassino, che ha affermato come la riduzione delle risorse pubbliche a cui si è assistito negli ultimi anni deve necessariamente portare gli attori istituzionali a coinvolgere nuovi stakeholder. Fassino ha sottolineato come continuare a garantire alcuni servizi di carattere universale oggi non possa andare di pari passo con una riduzione delle prelievo fiscale da molti invocato. In questo senso bisognerà essere chiari con i cittadini spiegando l’alternativa delle opzioni sul piatto. Si può anche decidere di diminuire le tasse, ma bisogna chiarire che questa scelta potrebbe compromettere la gratuità di alcune misure, per le quali andrebbe quindi chiesto ai cittadini di pagare.

E’ un tema che pare scontato senza che lo sia, così come non è scontato mettere mano all’attuale struttura dello Stato sociale. Citando l’esperienza sussidiaria operata dal comune di Torino in tema di asili, Fassino ha spiegato come la prima battaglia da combattere per cambiare il welfare sia anzitutto una battaglia culturale, perché non tutti capiscono che “ri-pensare” non significa necessariamente “ridurre”. Bisogna far capire come e quanto sia necessario riformare il welfare per garantire l’universalità dello Stato sociale, e non certo per determinarne lo smantellamento.


Su quali disegni riprogettare il welfare?

Per provare a rispondere alle tante sfide identificate, le fondazioni hanno chiesto a coloro che in questi anni hanno sviluppato riflessioni su queste tematiche di confrontarsi, in modo da offrire spunti e idee da cui ripartire. Nella sessione mattutina “Riprogettare il welfare: con quale disegno?” è stato chiesto ad alcuni accademici di contribuire al dibattito offrendo le proprie considerazioni su diversi aspetti della riprogettazione dello Stato sociale

Primo a intervenire è stato Paolo Onofri che, nel lontano 1997, ha guidato la famosa Commissione sulle compatibilità macro-economiche della spesa sociale. Rispetto a 16 anni fa, ha affermato Onofri, è cambiato ben poco. I vincoli macro-economici presenti nel ’97 non sono sostanzialmente cambiati, solo che ora siamo costretti a misurarci con essi in maniera più forte e decisiva.

Il vero, grande problema che oggi ci troviamo ad affrontare, ha sottolineato Onofri, è quello l’invecchiamento della popolazione che già oggi comporta una serie di risvolti di natura sanitaria e assistenziale (long term care) che pesa per circa il 10% sulla spesa sociale, e che crescerà moltissimo in futuro. Per far fronte a questa grave questione servirà cambiare le linee guida su cui si fonda il welfare, scommettendo su una maggiore responsabilizzazione degli individui, un minor peso del settore pubblico e una reale applicazione del principio di sussidiarietà. Se si vogliono sfidare i vincoli di tipo macro-economico in questa situazione si dovrà mettere la popolazione attiva nella condizione di lavorare e, soprattutto, aumentare la produttività del lavoro - poiché dovrà produrre per sé e per quella una quota di popolazione anziana in costante aumento – attraverso nuovi strumenti a carattere sociale come, ad esempio, più servizi di conciliazione lavoro-famiglia.

Il welfare in questo senso può essere un’importante risorsa: investire nel miglioramento del capitale umano può aiutarci ad uscire dalla low technology trap e della bassa produttività. Oggi ad esempio la bassa media di popolazione laureata e lo scarso investimento in tecnologie impedisce all’Italia di fare un salto di qualità di cui avrebbe assoluto bisogno. Il welfare deve aiutare a convincere i giovani che studiare paga: bisogna contrastare la dispersione scolastica, offrire borse di studio a chi le merita ed incentivare l’iscrizione a corsi di laurea appropriati al momento presente.

Il professor Emanuele Ranci Ortigosa nel secondo intervento ha affrontato il delicato tema del finanziamento pubblico in Italia. Da tempo immemorabile sia esperti che attori direttamente implicati dicono che il nostro sistema socio-assistenziale è disfunzionale, inefficace, iniquo e inefficiente, ma nessuno ha mai fatto niente per cambiarlo realmente. In questo momento particolare, dunque, bisogna necessariamente cambiare l’uso delle risorse, perché i 62 miliardi di euro che vengono spesi (4% del Pil) vengono spesi male.

Le maggior parte delle risorse sono gestite centralmente, il che preclude la possibilità di integrarle con altre risorse reperibili sui territori, o comunque di usarle al meglio attraverso politiche di carattere locale. Questo sistema comporta tante aree di povertà scoperte e tanti soggetti che, invece, ricevono risorse senza giustificazione. Si potrebbe, secondo Ranci Ortigosa, ridurre i benefici che vanno ai decili più alti per finanziare sistemi universalistici che vadano ad aiutare chi si trova scoperto. Questo sarebbe possibile con modeste integrazioni di risorse e garantirebbe una maggior efficacia degli strumenti attualmente previsti. L’integrazione delle risorse sul bisogno della persona e della famiglia risulta cruciale per garantire appropriatezza ed efficacia degli interventi futuri, soprattutto attraverso il decentramento delle risorse verso i territori. Lavorando sul territorio, infatti, si può capire quanto una persona deve ricevere e si possono sviluppare forme di collaborazione che dal centro non sarebbe possibile creare.

L’intervento di Maurizio Ferrera “Il Secondo welfare, da ipotesi di lavoro a pratica diffusa” ha mostrato come in alcuni contesti nuovi mix di politiche finanziate da risorse non pubbliche in grado di rispondere ai bisogni sociali, specialmente su base territoriale, già esistano. Lo smantellamento del welfare pubblico non è necessario né desiderabile, ma questo deve essere interessato da un rinnovamento che permetta lo sviluppo di forme di secondo welfare che possano integrare il primo. La riflessione di Ferrera si è concentrata su alcuni degli attori del secondo welfare – in particolare famiglie e aziende - e sulla loro capacità di reperire risorse utilizzabili per lo sviluppo di politiche di welfare coerenti con i bisogni attuali.

Bisogna evitare che l’incastro tra primo e secondo welfare assuma forme viziose, scongiurando ad esempio la sovrapposizione non efficiente tra iniziative diverse, e favorire al contrario la creazione di reti sempre più efficienti. Innaffiare i “fiori già sbocciati”, mettere in relazione i diversi attori in gioco, trovare soggetti capaci di governare il processo di sviluppo e fioritura del secondo welfare: queste le sfide principali per un’affermazione del modello. Governare, ha concluso Ferrera, deriva dal greco e vuol dire letteralmente “tenere il timone”: in questo senso il ruolo delle fondazione di origine bancaria rappresenta una ricchezza di cui tener conto.

A conclusione dei lavori della mattinata si è svolto l’intervento di Yuri Kazepov sul ruolo del Terzo settore nel delicato processo di riforma del welfare. Per spiegare la relazione tra attori pubblici e organizzazioni del terzo settore Kazepov ha proposto una metafora molto interessante i cui protagonisti sono elefanti e farfalle. Solitamente si identificano gli elefanti con lo Stato - lento, grosso, goffo, che ad ogni passo rischia di schiacciare quel che gli sta intorno – mentre le farfalle – portatrici di leggerezza e creatività – sono espressione della Società civile.

Questa metafora tuttavia è in grado di spiegarci il rapporto esistente tra le due realtà solo in maniera parziale. Facendo un’analisi dei principali elementi ricorrenti nelle riforme delle politiche sociali si capisce come il contesto risulti fondamentale per la riuscita delle stesse: il ruolo di Stato, Regioni ed enti locali, lo sviluppo del principio di sussidiarietà, le capacità degli attori sociali in gioco, sono tutti elementi che non possono essere ignorati nel momenti in cui si mette mano al sistema di welfare.


Esperienze di riprogettazione già in atto

Nel corso del convegno non sono mancati esempi concreti di riprogettazione che, attuati in diversi ambiti e contesti, dimostrano come sia possibile l’applicazione di nuovi paradigmi capaci rimettere in moto il sistema di welfare.

Diverse le esperienze provenienti dalla società civile: Angelo Stanghellini ha indicato come a Crema sia stato possibile co-progettare il welfare locale grazie al lavoro fatto sul piano di zona della città; Cristina Poggio ha presentato l’esperienza della Piazza dei Mestieri di Torino, realtà che dal 2004 si occupa di formazione professionale rivolta ai minorenni; Paola Lassandro ha raccontato del lavoro svolto dal Consorzio Abele Lavoro all’interno delle carceri; Marco Grassi della Società di mutuo soccorso Cesare Pozzo (di cui anche noi ci siamo occupati) ha mostrato come il mutualismo stia ricominciando a giocare un ruolo importante nel panorama del welfare.

Non sono mancate anche alcune testimonianze su come sia possibile migliorare il welfare pubblico attraverso l’efficientamento dell’amministrazione, su cui è intervenuta Daniela del Boca di CHILD Collegio Carlo Alberto, e la valutazione delle politiche in atto, di cui ha parlato Ugo Trivellato di IRVAPP.


Riprogettare insieme il welfare: il ruolo delle Fondazioni

Il Presidente di Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti ha tirato le fila del ricchissimo dibattito svoltosi, augurandosi che questo sia il primo di tanti altri passi per la riprogettazzione del welfare. In questo momento difficile le fondazioni, insieme al terzo settore, sono gli attori più esposti alle richieste derivanti dai nuovi rischi e bisogni sociali, e più di tanti altri soggetti sono quindi consapevoli di quanto sia necessario ripensare il welfare. Per rispondere alle sfide a cui ci troviamo di fronte occorre mobilitare le diverse risorse presenti nel Paese, e favorire quanto più possibile la personalizzazione dei servizi destinati ai cittadini. Per fare questo occorre che si sviluppi una veracollaborazione tra pubblico e privato, che sia capace di cogliere la spinta innovativa proveniente dal basso, e in questo senso le fondazioni di origine bancarie possono garantire il proprio contenuto. Tuttavia, bisogna tenere a mente che le fondazioni non sono la risposta ai problemi attuali - possono contirbuire a rispondervi ma non sono in grado di risolverli con le proprie forze - e solo lo Stato possiede le risorse necessarie a risolvere le sfide del presente.

Tre in particolare le questioni prioritarie individuate da Guzzetti nel corso della giornata. In primo luogo occorre investire sui giovani: solo attraverso un'educazione capace di sviluppare a pieno il capitale umano avremo la forza di invertire i trend atualmente in corso. In secondo luogo emerge la necessità di coniugare i principi generali con le peculiarità locali, in modo che le risposte siano il più possibili inerenti ai bisogni reali del territorio. Da ultimo, serve adottare logiche graduali e sperimentali che possano far emergere le esperienze positive presenti nel Paese. In questo senso le fondazioni, grazie alla loro natura flessibile e alle loro competenze, possono svolgere un ruolo importante.

A conclusione degli intensi lavori della giornata una tavola rotonda cui hanno partecipato Lorenza Rambaudi, della Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Stefano Granata del gruppo CGM e Elide Tisi, Assessore al welfare e alle politiche sociali del Comune di Torino, al tavolo nella veste di rappresentante dell’Anci, che hanno discusso delle modalità attraverso cui è possibile attuare forme di collaborazione per la riprogettazione del welfare.

Riferimenti

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