Le Casse private di previdenza hanno bisogno di essere autonome non solo sulla carta ma anche in pratica. Per questo il Forum previdenza di quest'anno, organizzato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti (Cnpadc), guidata da Renzo Guffanti, è intitolato: «L'Autonomia delle casse, tra enunciazioni e contraddizioni».

di Federica Micardi


Quali sono gli impegni non pertinenti a cui venite chiamati quale ente previdenziale privato e obbligatorio?

L'ultimo clamoroso caso riguarda la spending review. Da una parte la prefettura o il ministero che affittano i nostri immobili ci informano che intendono applicare una riduzione del 15% sul canone che versano a noi "privati", come consentito dalla spending review. La stessa norma, però, ci richiede di tagliare i costi nel 2012 del 5% e nel 2013 del 10% e di riversare quanto risparmiato alle casse dello Stato. Noi siamo enti privati grazie a una norma, il decreto legislativo 509/2004, ma veniamo trattati da "pubblici" attraverso mezzucci. Se siamo pubblici, però, vogliamo esserlo a tutti gli effetti, e quindi dovremmo essere esonerati dall'Ires, dall'Imu, dalla tassazione dei dividendi. Si stima che le Casse previdenziali privati abbiano versato lo scorso anno 300 milioni all'erario, di cui 28 milioni dalla sola Cnpadc.


Come è nata questa commistione pubblico-privato?

Con l'introduzione delle Casse private di previdenza nell'elenco Istat richiesto dall'Unione europea: un elenco che ha l'obiettivo di valutare i rischi di ogni Stato. Le Casse, in quanto enti previdenziali che svolgono un ruolo di interesse pubblico, vi sono state inserite. Il problema si è creato per l'uso strumentale che il legislatore ha iniziato a fare con questo elenco. La norma sulla spending review, per esempio, avrebbe dovuto precisare che il risparmio degli enti previdenziali non si riversi nelle Casse dello Stato ma resti all'ente. Precisazione che non è stata fatta.


L'attenzione del Governo su di voi è alta e anche le norme che mirano a garantire una vostra stabilità di lungo periodo sono state diverse. Perché secondo lei?

Dal 1994, anno in cui siamo stati privatizzati, a oggi il periodo di equilibrio da garantire è passato da 15 anni a 30, a 40 anni e ora siamo a 50. Credo che sia un tentativo di risposta alla necessità di porre delle sicurezze, l'equilibrio a 50 anni però ha comportato da parte nostra interventi di aumento delle contribuzioni e di aumento dell'età pensionabile, di fatto impoverendo i nostri iscritti. A questo risultato va aggiunta una magistratura che con le sue sentenze mette a rischio la stabilità che abbiamo raggiunto. Alcuni giudici, infatti, hanno ristabilito privilegi a cui la categoria, attraverso l'assemblea dei delegati, aveva volontariamente rinunciato, proprio per non gravare troppo sulle nuove generazioni. Decisione avallata dai ministeri e pubblicata con decreto sulla Gazzetta Ufficiale. Poi dopo anni ribaltate dai giudici, che per il bene del singolo creano un danno alla collettività.


I problemi che sollevate non sono una novità. Cosa le fa pensare che oggi troveranno ascolto?

All'incontro di domani saranno presenti importanti interlocutori politici, da Cesare Damiano, appena eletto alla commissione Lavoro alla Camera, a Maurizio Sacconi già ministro del lavoro e appena eletto presidente della commissione Lavoro del Senato, a Giancarlo Giorgetti, presidente della Commissione speciale per l'esame degli atti del Governo, che, sono certo, si renderanno conto della contraddittorietà in cui siamo stati messi. Si tratta di una presenza bipartisan, che conosce la materia e che rappresenta la maggioranza di Governo.


Quali sono le vostre proposte?

Vogliamo sollevare l'attenzione del legislatore sulla possibilità di investire una parte di quanto oggi diamo allo Stato - il 30% ad esempio - in un welfare per le professioni e in sicurezza per l'intero sistema. Potremmo, per esempio, sovvenzionare un fondo per aggiungere un'ulteriore garanzia alla tenuta delle Casse, dato che, da privati non dobbiamo contare sull'aiuto di Stato.

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