Indonesia. La scorsa settimana la polizia ha rinvenuto un gruppo di giovani costretti a vivere in condizioni disumane. I padroni avrebbero goduto di “coperture” nelle forze dell’ordine. Arrestate cinque persone, altre due latitanti. Il presidente indonesiano assicura provvedimenti urgenti, ma la popolazione è indignata e preoccupata per il modello di sviluppo.

Jakarta (AsiaNews) - Una vera e propria ondata di sdegno sta attraversando la società civile indonesiana, colpita nel profondo dalla vicenda dei 34 operai originari del West Java costretti a lavorare in condizioni di totale schiavitù. Il presidente Susilo Bambang Yudhoyono ha invitato tutte le parti in causa a prendere provvedimenti immediati e ha chiesto di denunciare situazioni analoghe. "Cose di questo tipo sono intollerabili" ha aggiunto il capo di Stato, invitando al contempo il ministro del Lavoro a "prendere seri provvedimenti". Tuttavia, a dispetto di slogan e affermazioni di principio restano i problemi di una crescita economica e produttiva che possa andare di pari passo col rispetto della persona e dei diritti dei lavoratori.

Da anni in Indonesia la parola "schiavitù" è considerata con disprezzo quale retaggio di pratiche barbare del passato coloniale. La scoperta, avvenuta la scorsa settimana, di una casa "lager" a Sepatan - reggenza di Tangerang, circa 20 km da Jakarta - in cui erano detenuti e costretti a lavorare in condizioni terribili 34 giovani ha rilanciato la questione e sollevato enormi polemiche.

Le forze dell'ordine li hanno ritrovati in una fabbrica per il riciclaggio dei materiali di scarto, in condizioni igienico-sanitarie precarie in uno stanzone senza finestre, sporco, privi di documenti e dei pochi beni personali, confiscati (in precedenza) dal proprietario. Ad aggravare la situazione, il fatto che alcuni elementi "deviati" della polizia di Tangerang abbiano protetto "in segreto e a lungo" il padrone, aiutandolo a mantenere nascosta la sconcertante vicenda.

Gli operai (tutti nativi di Cianjur, provincia di West Java) hanno trascorso oltre quattro mesi senza che nessuno si occupasse di loro, sino a che due giovani - Andi Gunawan e Junaidi, entrambi 22enni - sono riusciti a fuggire, rendendo pubblico il dramma. Essi hanno sporto denuncia alla Commissione nazionale per i diritti umani (Komnas HAM) e all'Agenzia per le persone scomparse e vittime di violenze (Kontras). Dalle loro parole emerge che hanno vissuto in una stanza di 6 metri per 8, con un solo bagno. Dovevano lavorare almeno 18 ore al giorno, avendo a disposizione solo due miseri pasti e poco altro da bere.

La Camera di commercio indonesiana, attraverso il portavoce, ha fatto sapere di non ammettere pratiche di schiavitù e sfruttamento forzato del lavoro. Il governo assicura un pronto intervento e la polizia ha arrestato cinque persone, accusate a vario titolo di aver detenuto in condizioni disumane i giovani lavoratori. Altre due persone risultano ancora latitanti. Ma nulla è bastato sinora, per placare l'ira e lo sdegno di un'opinione pubblica inferocita dalla vicenda e preoccupata per lo sviluppo imprenditoriale del continente asiatico, già segnato dalla drammatica vicenda degli 800 operai deceduti nel crollo di una fabbrica-lager in Bangladesh.

di Mathias Hariyadi

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