Napolitano ha riaperto la questione: come funziona in Italia e in Europa, come si propone di cambiare approccio. Ieri, durante un incontro con la Federazione delle chiese evangeliche al Quirinale, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Le parole di Napolitano sono state accolte con favore dal ministro alla Cooperazione Internazionale e all’Integrazione Andrea Riccardi («Senza questi ragazzi il nostro Paese sarebbe decisamente più vecchio e avrebbe minore capacità di sviluppo»), dal Partito Democratico e anche da quelle associazioni (prima fra tutte Rete G2) che da anni si battono per la cittadinanza dei minori. Di tutt’altro avviso, come prevedibile, sono stati Lega Nord e PdL. Roberto Castelli ha parlato di «esternazioni al limite della costituzionalità», Roberto Calderoli si è dichiarato pronto a fare «le barricate in Parlamento e nelle piazze» e Ignazio La Russa ha spiegato che «la cittadinanza è estranea all’emergenza economica» e «che così si fa cadere il governo». Le parole di Napolitano hanno riaperto la discussione pubblica su un tema di cui si parla poco, nonostante sia cruciale nella definizione dell’Italia del futuro: l’attribuzione della cittadinanza.
“Ius sanguinis” e “Ius soli”
Esistono tradizionalmente due sistemi di trasmissione della cittadinanza alla nascita. Uno viene chiamato “ius soli”, il diritto che si acquisisce per nascita su un territorio e indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, secondo cui chi nasce in una nazione è cittadino di quella nazione. Il sistema storicamente è stato adottato soprattutto da quei Paesi che sono stati interessati da una forte immigrazione e che possiedono un’ampia superficie territoriale (Canada, Stati Uniti, Brasile, Argentina). L’altro è lo “ius sanguinis”, il diritto di sangue, secondo cui la cittadinanza si trasmette dai genitori ai figli, al di là del luogo in cui questi nascono. Il sistema si ritrova, a tutela dei discendenti, soprattutto in quegli Stati che hanno una storia di emigrazione: tra questi, anche l’Italia. Attualmente, la maggior parte degli Stati europei adotta lo «ius sanguinis» ma con norme meno rigide che in Italia.
Come funziona in Italia
La cittadinanza italiana è oggi basata sullo “ius sanguinis”, il diritto di sangue, e non prevede lo “ius soli”, il diritto che si acquisisce per nascita sul suolo italiano indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. La condizione giuridica dei bambini figli di immigrati nati in Italia è quindi strettamente legata alla condizione dei genitori: se i padri ottengono la cittadinanza (dopo dieci anni di residenza legale) questa si trasmette anche ai figli per “discendenza”. Acquisisce la cittadinanza italiana anche chi è nato in Italia da genitori ignoti o apolidi, il figlio di ignoti trovato nel territorio italiano di cui non è possibile provare il possesso di altra cittadinanza, lo straniero residente da tre anni o nato in Italia con ascendenti diretti italiani, lo straniero maggiorenne adottato da italiani e residente da cinque anni in Italia.
In Europa
In Germania se uno dei due genitori vive legalmente sul territorio da almeno 8 anni può concedere al figlio il diritto alla cittadinanza al momento della nascita. In Irlanda bastano o tre anni o un permesso di residenza permanente da parte di uno dei due genitori. In Belgio la cittadinanza è automatica a diciott’anni se si è nati nel Paese, o entro i dodici mesi se i genitori sono residenti da dieci anni. In Portogallo è prevista la naturalizzazione alla nascita se o la madre o il padre hanno risieduto nel Paese dieci anni, solamente sei se provengono da un Paese di lingua portoghese. La Francia, in questo panorama, costituisce un’eccezione: qui lo “ius soli” vigeva del 1515 e si è progressivamente attenuato. Ora la legge prevede che per i bambini nati da genitori immigrati si possa richiedere la cittadinanza entro il compimento del tredicesimo anno. A sedici anni può chiederla il ragazzo stesso. Per i maggiorenni nati e vissuti per diciotto anni in Francia c’è invece l’obbligo di prendere la cittadinanza francese.
Le proposte di legge in Italia
Per avvicinare l’Italia al resto dell’Europa, due anni fa i deputati Andrea Sarubbi (PD) e Fabio Granata (finiano, ma ancora col PdL al momento della firma) presentarono una proposta di legge bipartisan bloccata a gennaio 2010 dalla Lega e dalle preoccupazioni di non mettere al centro della campagna elettorale per le regionali la questione dell’immigrazione. La proposta prevedeva l’acquisizione della cittadinanza per nascita attraverso alcuni requisiti: essere maggiorenni, trovarsi in Italia da almeno cinque anni, superare un test di integrazione civica e linguistica e fare un giuramento sulla Costituzione. Poteva diventare italiano, poi, chi era nato da genitore soggiornante in Italia da almeno cinque anni o un minore straniero che avesse completato un ciclo di studi. In questa riforma, dunque, contava di più la condizione di nascita in Italia più della discendenza: un sistema di “ius soli” temperato. Dopo le parole di Napolitano il PD ha annunciato una legge che, superando la proposta Sarubbi-Granata, preveda l’applicazione non temperata dello “ius soli”: il diritto di cittadinanza dovrebbe essere acquisito per nascita e il minore figlio di genitori stranieri la potrebbe acquisire automaticamente al termine di un ciclo completo di studi in Italia (elementari, medie, superiori).