A Bonn sono in corso i Climate change talks Unfcc. Ai climate change talks dell'United Nations framework convention on climate change (Unfccc) in corso a Bonn, dove all'Ad hoc working group on the Durban platform for enhanced action (Adp) si discute animatamente di come arrivare davvero entro il 2015 ad un accordo globale sul clima, i Paesi in via di sviluppo sono all'attacco ed a quanto pare stanno mettendo in difficoltà quelli sviluppati che sembrano frastornati da una crisi economica ancora in atto e dalle accuse di non aver mai rispettato gli impegni che si erano presi ed i patti sottoscritti.
A ricordare a tutti la reale gravità della situazione è stata una dichiarazione rilasciata all'inizio del summit dall'Alliance of Small Island States (Aosis) che ha chiesto che qualsiasi accordo globale sul clima punti a limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5° C entro la fine del secolo: «Il nostro lavoro deve essere mosso da un senso di urgenza, tenendo presente che la nostra incapacità di agire ora con decisione, richiederà una risposta reattiva e molto più costosa dopo. Inoltre, l'incapacità di chiudere il gap tra l'ambizione e la mitigazione pre-2020 avrà profonde implicazioni per la portata e la natura degli obblighi derivanti dal protocollo del 2015».
La questione della compensazione aveva dominato il vertice di Doha del 2012 ed i governi avevano accettato di iniziare a lavorare su un meccanismo "loss and damage", ma i Paesi sviluppati sono stati riluttanti a perseguire approfonditamente questo filone di colloqui, perché potrebbe comportare pesanti risarcimenti se i calcoli si baseranno sulle emissioni storiche.
Dopo la notizia del raggiungimento della soglia di 400 parti per milione di CO2 atmosferica, alcuni credono che una concentrazione di 450 ppm potrebbe far superare diversi punti di non ritorno, sciogliendo gran parte delle calotte glaciali della Terra e costringendo molti abitanti delle isole del Pacifico ad abbandonare le loro case sommerse dal mare.
Nell'appello di Aosis si legge: «Sappiamo che le barriere coralline, che sostengono molte delle nostre economie, e ci salvaguardano dagli eventi meteorologici estremi legati al clima, possono smettere di crescere se viene oltrepassato il limite di 450 ppm e che inizieranno a disciogliersi a concentrazioni al di là di 550 ppm, mentre l'acidificazione degli oceani si intensifica. Alla luce di queste dure realtà, dobbiamo raggiungere un accordo Adp che, in ultima analisi, porti le concentrazioni di CO2 al di sotto di questi livelli per limitare il riscaldamento al di sotto di 1,5° C entro la fine del secolo».
Naderev Sano, rappresentante dei Like Minded Developing Countries (Lmdc) e commissario al cambiamento climatico delle Filippine, ha avvertito che «E' in gioco l'intero processo. Sul cambiamento climatico c'è stato un decennio perduto. Abbiamo perso questo decennio perché i Paesi che hanno la responsabilità di essere leader si sono rifiutati di assumere la leadership. Abbiamo perso l'ultima decade, perché i Paesi sviluppati si sono rifiutati di guidarci. Mentre procrastinavano, il mondo ha sperimentato le crescenti conseguenze del cambiamento climatico. Se i Paesi sviluppati avessero solo assolto agli obblighi e fossero rimasti fedeli alla nostra "costituzione", saremmo sulla buona strada per un regime climatico equo e di successo, segnato dalla cooperazione internazionale, per un'azione equa ed ambiziosa da parte di tutti». A dire il vero il gruppo Lmdc include anche la terribile Arabia Saudita, da sempre alla testa degli eco-scettici e finalmente isolata a Bonn, ma anche grandi potenze economico/industriali come la Cina, l'India, che non vogliono sentirne parlare di assumersi impegni come quelli dei Paesi industrializzati, o Paesi come Venezuela, Ecuador e Colombia che, per ragioni opposte, "antimperialiste", sono quelli che più si sono opposti ad accordi considerati troppo blandi per le responsabilità dei Paesi ricchi, il cui modello insostenibile di consumi e di produzione è indicato (non a torto) come causa del global warming.
Come ha detto Rene Orellana, capo della delegazione boliviana, «La credibilità dei Paesi sviluppati per chiedere ai Paesi in via di sviluppo sforzi più grandi riguardo al clima si basa sulla loro capacità di mostrare leadership. La leadership dai paesi sviluppati deve avvenire adesso e non deve essere rinviata al 2020, in quanto questo pone le basi per un'azione più efficace del clima oltre il 2020».
Anche il gruppo dei 49 Paesi più poveri del mondo, i Least developed countries (Ldc), con lo slogan «Start real negotiations now!», ha chiesto subito un'azione rapida per affrontare i problemi, sottolineando che «Non dobbiamo intraprendere un altro pesante processo procedurale. Il ritardo porterà certamente ad un mondo più caldo di 4° C. Dobbiamo trarre lezioni dai passati negoziati nell'ambito dell'attuale convenzione ed attuare azioni urgenti per affrontare il cambiamento climatico. Dobbiamo fare in modo che i risultati di Durban siano implementati come una questione urgente. Senza progressi sostanziali per chiudere il gap della mitigazione di 8-13 giga-tonnellate gap prima del 2020, i Paesi meno sviluppati non
sarebbero disposti ad accettare un risultato debole».
Da anni il gruppo dei Paesi meno sviluppati non si stanca di dire in questi snervanti negoziati Unfccc che sono proprio le nazioni più povere ad essere più gravemente colpite dagli effetti del cambiamento climatico ed il documento che hanno presentato a Bonn sottolinea che gli effetti del global warming sono già visibili: «Stiamo tutti vivendo un aumento del numero di periodi di siccità, forti tempeste e inondazioni. Questi eventi sono in aumento per frequenza, ampiezza e intensità e peggiorando di giorno in giorno la qualità della vita di popolazioni già vulnerabili. Un ritardo dell'azione contro il cambiamento climatico non è un'opzione per il nostro Gruppo».
Il nuovo presidente dei Paesi Lcd, il nepalese Prakash Mathema, ha esortato le parti «A dar prova di leadership per realizzare progressi sostanziali ed a negoziare un trattato per il 2015 e per colmare il divario di mitigazione prima del 2020. Non c'è più tempo da perdere, quindi dobbiamo smetterla di girare a vuoto. La somma delle azioni di mitigazione prese da tutte le parti dovrebbe portare ad un percorso complessivo di emissioni globali che sia scientificamente coerente con la limitazione del riscaldamento al di sotto di 1,5° C entro la fine del XXI ° secolo. Ciò richiede impegni chiari a breve, medio e lungo termine, che dovrebbero essere sottoposti a revisioni periodiche, e che si basino sulle ultime scoperte scientifiche.
L'adattamento e la resilienza climatica sono le priorità per i Lcd per i quali il sostegno internazionale per la tecnologia, il capacity building e finanziario è ancora insufficiente. Se le emissioni globali non saranno limitate, se non viene fornito tutto il sostegno internazionale possibile, i nostri Paesi dovranno confrontarsi con una situazione nella quale gli obblighi di adattamento supereranno di gran lunga le loro capacità. Ad un certo punto l'adattamento raggiungerà i suoi limiti e, a lungo termine, l'attenuazione è la migliore forma di adattamento».
U.M.