L'amministratore delegato di DNV Business Assurance Italia ribadisce che certificarsi è un atto volontario da parte delle aziende che porta buoni frutti a tutti. Il vero problema del nostro Paese però è la mancanza di obiettivi comuni tra le imprese e la pubblica amministrazione. Superare questo limite è la chiave di volta per una vera innovazione anche in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Vincenzo Petraglia
DNV Business Assurance è uno dei principali enti di certificazione a livello mondiale dei processi legati alla sostenibilità e alla responsabilità sociale dell’impresa. In Italia è presente con dieci sedi operative e circa 240 dipendenti ed è la società leader nel mercato nazionale della certificazione dei sistemi di gestione. Renato Grottola, amministratore delegato per la divisione italiana, offre un quadro sul presente e gli scenari futuri dei sistemi di certificazione e illustra uno degli ultimi innovativi progetti messi a punto con Illycaffè: il “Responsible Supply Chain Process”. Un progetto che, prendendo in esame l’intera catena di fornitura dell’azienda, ha segnato il passaggio dalla certificazione di filiera alla certificazione della capacità della stessa di creare valore a beneficio di tutte le parti in causa.
Quali gli ambiti in cui operate maggiormente come ente di certificazione?
Operiamo su tutte le dimensioni della sostenibilità attraverso l’erogazione di una serie di servizi di certificazione. Per cui il nostro concetto di sostenibilità non è limitato al solo tema ambientale ma include, ad esempio, anche il tema della sicurezza e della salute sul lavoro oppure la qualità dei propri processi e prodotti, proprio perché un’azienda che vuole essere sostenibile non può prescindere dal fare in modo che i propri prodotti siano competitivi e soddisfino appieno le esigenze dei consumatori finali.
Quali gli scenari futuri in fatto di sostenibilità? E gli ambiti cui il mondo dell’impresa presterà sempre più attenzione?
Oggi in Italia c’è una crescente attenzione, dettata dalla definizione di una serie di leggi sempre più stringenti in questi ambiti, alla salute e alla sicurezza sul lavoro. La conseguenza è che il tema della certificazione dei sistemi di gestione della sicurezza ha fatto registrare la maggiore crescita negli ultimi anni e sarà in futuro ancora in fortissima crescita.
In cosa consiste esattamente il processo di certificazione?
La certificazione è un atto volontario, quindi non c’è nessuna legge che obbliga un’azienda a certificarsi. È una scelta e l’azienda può scegliere un qualsiasi ente di certificazione sottoponendosi a una serie di verifiche svolte da personale qualificato con competenze specifiche sui temi oggetto di certificazione. Queste verifiche sono mirate ad attestare che l’impegno che l’azienda prende rispetto a uno specifico tema sia effettivamente tradotto in azioni concrete al suo interno. La certificazione è quindi uno strumento di garanzia a tutela del mercato e delle parti interessate che dimostra che l’impegno dell’azienda è concreto e non solo di facciata.
Fra le aziende che avete certificato ci può fare qualche esempio di impresa virtuosa che si è distinta in fatto di approccio innovativo alle tematiche della sostenibilità?
Come ente di certificazione siamo noi stessi impegnati nell’innovazione costante nei processi di certificazione e sicuramente un esempio lampante in tal senso è rappresentato dal progetto condotto insieme ad Illycaffé riguardante la certificazione della filiera di produzione del caffé verde. L’innovazione apportata da questo progetto riguarda il fatto di guardare al miglioramento della qualità del prodotto come elemento e parte integrante della sostenibilità da un lato e, dall’altro, anche come modo di condividere il valore creato attraverso azioni concrete con la filiera di fornitura, quindi con gli agricoltori. Nello specifico, per esempio, per il solo Brasile Illy dà lavoro a circa 50mila famiglie e quindi questo processo di certificazione che abbiamo messo a punto garantisce che l’azienda abbia adottato una serie di azioni nei confronti degli agricoltori rivolte a migliorare il loro tenore di vita. Non solo. Ciò garantisce che queste azioni vadano a migliorare il tenore di vita attraverso il miglioramento della qualità produttiva che si traduce poi nel miglioramento della qualità del prodotto finale di Illy e in una migliore soddisfazione da parte del consumatore finale. Creazione del valore condiviso quindi che non riguarda solo l’azionista e il proprietario dell’azienda ma è distribuito, invece, anche all’interno di tutta la filiera produttiva.
Creatività e responsabilità sociale secondo lei in che rapporto stanno?
Sono molto legate e il collante fra loro è l’innovazione, una componente fondamentale della responsabilità sociale d’impresa perché soltanto attraverso l’innovazione si possono introdurre nuovi processi tali da consentire un vero sviluppo sostenibile.
L’Italia come si colloca nei confronti di queste tematiche rispetto al resto dell’Occidente?
Il nostro Paese ha tantissime eccellenze che si impegnano a promuovere il tema della responsabilità sociale, il problema è che purtroppo l’Italia ha un gap sostanziale che è dettato dall’incapacità di guardare a questo tema facendo sistema e creando un allineamento fra gli obiettivi dell’impresa e gli obiettivi e gli indirizzi della pubblica amministrazione. Troppo spesso, infatti, si scarica all’impresa il compito di cambiare il mondo ma questo non è possibile perché l’azienda può essere parte attiva nel processo di cambiamento ma non può certo essere delegata a essere l’unico motore del cambiamento.
Proviamo a lanciare uno slogan per convincere le aziende che ancora non lo fanno a percorrere la strada della responsabilità sociale d’impresa?
Impegnarsi su questo fronte significa credere nel concetto di performance sostenibile, vale a dire essere in grado di superare con meno difficoltà i periodi di crisi magari accettando di crescere un po’ meno nel momento in cui il mercato “tira” ed è più favorevole.