Presentato il rapporto annuale, disponibile anche sul nostro
sito.
L’Assemblea generale del commercio equo italiano (Agices) compie 10
anni. Nonostante la crisi, il sistema regge ed è preso a esempio
all’estero.
di Eleonora Dal Zotto, coordinatrice di Agices
Il
numero di organizzazioni appartenenti ad Agices è stabile. Da una parte
infatti c’è stato l’ingresso di nuove realtà, mentre dall’altra abbiamo
assistito a un fenomeno piuttosto diffuso, ovvero l’accorpamento, per
cui associazioni si fondono tra di loro. Infine, purtroppo ci sono state
delle chiusure di attività, le cui cause sono forse dovute alla
difficile gestione economica dei punti vendita ma forse anche al mancato
ricambio generazionale. Nel 2011 Agices contava 90 organizzazioni, oggi
siamo a 87. Secondo noi Agices rappresenta almeno l’80% del totale del
commercio equo e solidale italiano, ma questa percentuale cresce se si
considera la rilevanza economica e associativa.
Gli anni 90 e i
primi 2000 hanno registrato una crescita di fatturato, poi la curva si è
appiattita e adesso vediamo anche segni meno. Nel 2011 si assiste a una
ripresa, sia dal punto di vista delle vendite che degli acquisti. Ma
non è quello che è successo nel 2012, per quel che sappiamo sinora: nel
2012 sembra essere tornati ai livelli del 2008/2009.
Certamente, si
fa fatica a comporre un quadro generale, anche perché è cambiata molto
la tipologia dei prodotti che si vendono: sono sempre più elaborati, e
solo chi è riuscito a investire molto riesce a lavorare sui prodotti
artigianali, mentre gli altri fanno fatica.
Quello che non è
cambiato è il canale di vendita: temevamo che le vendite nella grande
distribuzione avrebbero finito per diventare il canale predominante, e
che le organizzazioni con le botteghe sarebbero state marginalizzate. In
realtà queste ultime sono ancora il canale di gran lunga privilegiato e
la Gdo non ha avuto l’espansione che ci aspettavamo. Detto questo,
dobbiamo prendere atto che l’Italia ha consumo pro capite di prodotti
del commercio equo e solidale di gran lunga inferiore al Nord e Centro
Europa. Alcuni dati parlano di 11 euro per il Regno Unito fino a 21 euro
per la Svizzera, mentre in Italia siamo attorno ad 1,5 euro. Dall’altra
parte invece dalle ricerche fatte sembra che quanto meno la conoscenza
del commercio equo in Italia sia molto forte. Soprattutto se si guarda
al cambiamento culturale, e non solo alla vendita, non credo che siamo
così “indietro”.
Il sistema è cresciuto un po’ alla volta, ma con
passo di marcia. Nel 2006 iniziamo le verifiche sul campo, con diverse
fasi e metodologie di controllo. Nel 2009 il sistema si è “chiuso”,
-cioè completato tutte le fasi e procedure- ed è andato a regime. Oggi
abbiamo anche un osservatorio on line per fare segnalazioni (tra
l’altro, uno degli elementi che ci sta “copiando” l’Organizzazione
mondiale del commercio equo, Wfto). A guardare i numeri, oggi contiamo
137 audit dal 2007. Vuol dire che tutte le organizzazioni hanno avuto
almeno una verifica. Oggi si sta riflettendo sull’apertura a soci
esterni, perché ci sono organizzazioni molto vicine a noi, e altre
tendenze che guardano alle filiere locali.
Uno degli effetti
maggiori che ha avuto il sistema di monitoraggio di Agices è stato
aiutare le organizzazioni a fare il passaggio dallo spontaneismo
all’essere in grado di rendicontare il proprio lavoro. Le organizzazioni
con fatica fanno il salto da un impegno immediato a una formazione:
oggi dobbiamo accompagnare le persone impegnate nel Comes a crescere
come lavoratori e amministratori. Sono i nostri 30 anni di movimento che
ce lo richiedono.