La tappa in italia. A Perugia racconta la sua vita controcorrente. È un copione scritto, una storia già vista. E va in scena sempre allo stesso modo. Era successo in Brasile, in febbraio, prima tappa del suo viaggio fuori da Cuba dopo anni di attesa per avere il passaporto. Ed è stato così anche ieri sera all’ultimo evento del Festival di Giornalismo a Perugia.
Bersaglio: Yoani Sánchez, la blogger cubana dissidente, fra le cento personalità più influenti del mondo per il settimanale «Time», elogiata da Obama. Ad attenderla ieri c’era tantissima gente, centinaia di persone, troppe per la Sala dei Notari, e fra loro anche una ventina di rumorosi militanti filocastristi che ne contestano la sua versione/descrizione della Cuba dei fratelli Castro. Così ancora prima che la Sánchez aprisse bocca – con lei sul palco il direttore de «La Stampa» Mario Calabresi e il giornalista di «Repubblica» Omero Ciai – contestatori armati di striscioni, megafoni e false banconote da un dollaro con la foto di Yoani, l’hanno aggredita con urla, slogan e insulti. Dieci minuti di caos finché finalmente è arrivata la polizia.
Poi la discussione comincia. E quando comincia a parlare, dice cose grandi. È temprata da esperienze dure. All’Avana è finita anche in carcere. Adesso si gode la libertà, un gruppuscolo di contestatori certo non l’intimorisce. «È una magnifica opportunità per raccontare Cuba in presa diretta, rispondere alle domande e offrire il mio punto di vista», spiega.
Sul tavolino dinanzi a sé la blogger tiene il volantino contro di lei che girava in sala. Yoani racconta la sua Cuba, parla della sua esperienza, di come «sia illegale avere una antenna parabolica per la tv satellitare». Riannoda i fili e spiega la sua passione per l'informatica: «Nella mia vita la tecnologia è stata un trampolino verso la libertà». D’altronde tempo fa agli studenti della Columbia University di New York che le chiedevano come fosse riuscita a far uscire il suo blog, aveva risposto: «Non è mai stato facile, ho imparato a cavarmela con qualche astuzia. Per esempio, all’inizio mi fingevo una turista tedesca».
Davanti alle centinaia di persone riunite a Perugia, Yoani si descrive come una persona «disponibile al dialogo» che racconta «quello che vede da blogger, da citizen journalist». Nessuna retorica, né pretese di fare analisi politiche o geopolitiche. Un ruolo decisivo lo attribuisce ai social network, «un martello per abbattere il muro informativo, più duro di quello di Berlino».
Yoani mantiene la calma durante tutta la serata, anche quando risponde alle aggressioni verbali. Precisissima: «Cuba non è una persona con un pensiero unico, siamo tanti». E poi chiude ogni discorso dinanzi a quello che per i filocastristi sarebbe il suo peccato originale, la simpatia che l’America nutre verso di lei e i legami con la Cia, vecchio ritornello tornato in auge non appena la giovane blogger ha messo piede fuori da Cuba. «È falso che io sia protetta dal consolato americano», dice con decisione senza alzare la voce. Vestita con le espadrillas senza calze e una camiciola di cotone verde menta a mezze maniche, i lunghi capelli neri raccolti in una coda, ha lo sguardo determinato di una donna che combatte.
Al momento delle domande i toni si riaccendono, i contestatori rialzano la testa, ma restano isolati all’interno della sala. Chi la segue su Twitter e legge il suo blog «Generación Y» (pubblicato in esclusiva da «La Stampa» per l’Italia) sa che è da sempre presa di mira.
Anna Masera
inviata a perugia