Tutti analizzano, tutti polemizzano, pochi si occupano dei tanti (troppi) che sono lasciati soli, dei tanti, troppi quarantenni, cinquantenni, che la sera vanno a letto con un lavoro e la mattina si svegliano senza il lavoro e senza la speranza di riaverlo. Luigi Preiti, muratore, 49 anni e un figlio di undici, si è separato dalla moglie, ha perso il lavoro, ha conosciuto la deriva del gioco d'azzardo e, poco dopo le undici di ieri mattina, ha sparato e ferito due carabinieri, uno ha un danno midollare importante e resta in prognosi riservata, davanti a Palazzo Chigi.
L'atto gravissimo dell'attentatore va condannato senza se e senza ma, nessun malessere può consentire di armare la mano contro chi rappresenta lo Stato e custodisce il bene comune della convivenza civile. Per questo, il primo pensiero di tutti, solidale e grato, deve andare all'Arma dei carabinieri, alle vittime dell'attentato e alle loro famiglie. L'atto inaccettabile è, sicuramente, come ha detto il ministro Alfano, un "gesto isolato", ma è il gesto di una disperazione tutt'altro che isolata sulla quale occorre riflettere in profondità. Una disperazione che fa fatica a trovare spazio nell'agenda politica e mediatica di una società fragile "stordita" dai tanti Savonarola che si dividono velenosamente su tutto e non hanno tempo (voglia) di occuparsi dei problemi veri del Paese.
Il lavoro che non c'è per i giovani e scompare per molti di quelli che ancora lo hanno, l'obbligo di abolire per decreto le modifiche introdotte dalla riforma del mercato del lavoro sulla flessibilità in entrata per cercare di evitare (non so se sia ancora possibile) che la generazione della precarietà eterna si trasformi nella generazione della paura. Il credito razionato alle imprese industrialmente sane che esige risposte nuove e immediate alla voce fatti. Una questione settentrionale sociale (civile) che affianca l'irrisolta questione meridionale e rischia di fare sprofondare il Paese in un limbo (degradante) di rattoppi, sfilacciature, dove le disuguaglianze crescono nel silenzio, "coperte" dal frastuono di populismi vecchi e nuovi coniugati con l'ignavia e l'incapacità di fare della politica.
Nulla in alcun modo, lo ribadiamo con forza, può giustificare il gesto efferato compiuto ieri davanti a Palazzo Chigi così come piena, totale, deve essere la nostra solidarietà all'Arma dei carabinieri, alle vittime e alle loro famiglie. Sottovalutare, tuttavia, la fragilità della società italiana dove l'angoscia per il futuro anche se non ti tocca individualmente entra dentro e trasferisce ansia contagiosa, è un errore che non ci possiamo più permettere di compiere. C'è qualcosa di fatalmente strano nel fatto che l'attentato avvenga nello stesso momento in cui giurano i ministri del nuovo governo e qualcosa di (realmente) inquietante nella rivendicazione dell'attentatore che il suo obiettivo sono i politici.
Ora più che mai l'Italia ha bisogno di un governo che governi e si occupi della sua emergenza sociale dimostrando di saper mettere insieme tensione etica e capacità esecutive. Vorremmo un Paese dove la passione politica torni a spopolare nei bar insieme al pallone e venga vissuta come un dovere morale. Un Paese dove i giovani migliori, quelli più bravi e intelligenti, tornino ad innamorarsi della politica e a "sporcarsi le mani" in prima persona. In un appunto di Alcide De Gasperi, rivelato dalla figlia Maria Romana, e pubblicato ieri nel Memorandum della Domenica, c'è scritto: «Si pensa a un processo di riforme come a un movimento dal centro verso le periferie, ma non si risale al centro medesimo che siamo noi stessi». Da qui, da "noi stessi" possiamo, anzi dobbiamo, ripartire. Dobbiamo tornare a un'Italia dove si litigava e si lottava, ma per fare meglio. In questo modo, si è ricostruito il Paese nel Secondo Dopoguerra. Oggi le nuove macerie italiane, per certi versi, sono ancora più pesanti. Non toglieteci la speranza di poterci risollevare una seconda volta.
di Roberto Napoletano con analisi di Stefano Folli e Vittorio Emanuele Parsi