La domanda internazionale di terra è in continua crescita. Soprattutto da parte di quei Paesi dotati di grande liquidità, ma di scarse superfici coltivabili; insieme e accanto a loro, le multinazionali agricole di tutto il mondo sono sempre a caccia di terreni da espropriare e sfruttare per i loro bisogni commerciali.
Il fenomeno del land grabbing, e occorre ribadirlo in occasione della Giornata mondiale della terra, sta avendo effetti gravissimi sul benessere del pianeta. Ce lo illustra bene Paolo De Castro, docente di economia e politica agraria all'università di Bologna e presidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo, nel suo libro Corsa alla terra giunto già alla sua seconda edizione.
L'accaparramento di terreni coltivabili da parte delle multinazionali, secondo una lettura ormai condivisa, ha contribuito a innescare la crisi alimentare del 2007-2008, e rischia di portare a una nuova crisi agricola, che si sommerà all'aumento della popolazione e dei consumi.
«Nel 2050 saremo più di nove miliardi ad abitare il pianeta, circa un terzo in più di oggi, e per soddisfare la domanda di cibo avremmo bisogno di aumentare la produzione agricola del 70% rispetto a quella attuale. Per di più dovremmo farlo in maniera più sostenibile che in passato», si legge sul libro.
Il mondo è già entrato in quella definita "l'era della scarsità": si calcola che siano già stati oggetto di negoziazione nel mondo dai 50 agli 80 milioni di ettari di terre (soprattutto nell'Africa sub sahariana), tanto che le superfici coltivabili sono diminuite del 50% tra il 1963 e il 2008; i prezzi dei prodotti agricoli sono aumentati; e le comunità locali hanno sempre meno potere nella gestione dei territori in cui vivono.
Nelle transizioni e nella vendita di terreni «sono ricorrenti diverse criticità - sottolinea De Castro - la mancanza di consultazione con le comunità locali e di valutazioni di impatto ambientale, l'insufficiente considerazione dell'importanza degli equilibri eco-sistemici e di una gestione sostenibile di terra, acqua e biodiversità, la produzione di cibo spesso destinato essenzialmente all'esportazione in luoghi simbolo dell'emergenza alimentare».
Per evitare il collasso, conclude l'autore, è necessario che si facciano passi avanti, nuovi, verso politiche comuni che stimolino la ricerca privata, limitino le emissioni inquinanti e incentivino tecniche di utilizzo del suolo ecocompatibili. Produrre di più, inquinando meno, grazie alle tecnologie e all'innovazione, per realizzare una nuova rivoluzione verde, che garantisca la sicurezza alimentare globale.