L'economista alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, per un green New Deal italiano. Continua la retromarcia del Fmi sull’austerity: «No riduzione troppo drastica del deficit».
Luca Aterini
Grande è la confusione sotto il cielo della politica italiana, ma chi si azzarderebbe adesso a definire la situazione eccellente? Più che un cielo, sembra una cappa. Un sistema che si allontana a velocità accelerata dalla base dei cittadini che dovrebbe rappresentare e che, se non inverte la rotta, non potrà che sbattere contro un muro o allontanarsi all'infinito da quella realtà che dovrebbe invece riuscire a mediare, interpretare, spiegare.
In attesa di dare un volto e un nome al 12esimo presidente della Repubblica italiana, è essenziale riconoscere che questa confusione politica non alberga soltanto in Italia, ma vive e si alimenta anche da quel caos che alberga nell'Unione europea, anch'essa sottomira da qualcosa di più che franchi tiratori. La numero uno del Fondo monetario internazionale, la francese Christine Lagarde, si sbilancia adesso fino ad affermare che «non esiste una ragione oggettiva per realizzare una riduzione troppo drastica del deficit». L'austerità (alleluja!) non funziona.
Se si desidera una crescita «sostenibile, solida, bilanciata ed inclusiva», continua la Lagarde, «il punto è come si procede, a che velocità. Non dovrebbe essere una corsa obbligatoriamente veloce». Il risanamento dei conti, in altre parole, rimane necessario. Ma non adesso, non con questo ritmo forsennato. «Ciò che abbisogna in questo momento, infatti - affermava John Maynard Keynes nel 1930, durante la Grande depressione - non è stringere la cinghia, ma creare un'atmosfera di espansione, di attività: intraprendere, comperare, produrre».
A tutto ciò, però, soltanto una parte delle istituzioni europee tende l'orecchio. La stessa Commissione Ue può farsi portavoce di pungoli ad alto tasso di sostenibilità come il Manifesto per l'utilizzo efficiente delle risorse, e al contempo, sotto altra veste, continuare a premere per quell'austerità che per prima frena la possibilità di investire e attuare le politiche soltanto immaginate. Una schizofrenia che si riversa in tutta la sua forza cadendo al livello più basso delle singole politiche nazionali, in crescente sofferenza.
Un continente rimane così prigioniero nella trappola di un'ideologia. «Quello che accade quando c'è il 60% di giovani disoccupati è che il futuro è oscurato - ha dichiarato ieri l'economista Jean-Paul Fitoussi (Nella foto) al meeting di primavera della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in cerca di un green New Deal per l'Italia - perché questi giovani non avranno le competenze per far crescere l'economia come i loro padri. Quello che mi sembra sicuro è che le politiche di austerità che le politiche che l'Europa conduce in un modo generale hanno un effetto molto negativo sia sul benessere che sulla sostenibilità globale dell'economia».
Dunque, che fare? «Bisogna non fare più politiche di austerity», afferma netto Fitoussi. «Bisogna solamente avere delle politiche normali, come fanno negli Stati Uniti e anche in Giappone». Noi, ha continuato l'economista, «andiamo verso almeno un decennio perso e questo significa che andiamo verso una situazione di insostenibilità politica perché la democrazia non è compatibile con la disoccupazione di massa». Ci sono dunque «tanti settori dove c'è la necessità di investire e questo conduce all'espansione. Ma quando dico c'è la necessità di investire, c'è la necessità di investire con due obiettivi, il benessere della popolazione e la sostenibilità. Questo significa - chiosa Fitoussi - che noi lasciamo alle generazioni future una ricchezza almeno uguale a quella di cui abbiamo goduto».
Quasi un secolo più tardi di Keynes ci troviamo di nuovo in una situazione simile alla Grande depressione, ma con una consapevolezza in più: sappiamo che responsabilità non è comprare indiscriminatamente, produrre qualcosa purché sia. Lo sviluppo deve appunto essere «sostenibile» e «inclusivo». La produzione e i consumi reindirizzati qualitativamente verso la sostenibilità, la ricchezza ridistribuita, sganciandoci così dall'illusione che equipara il poter comprare al saper essere felici.