Nel 2012 ci sono state circa 15.700 domande di asilo, meno della metà di quelle giunte nell’anno precedente. Tante le ragioni del calo, ma non certo la diminuzione del numero delle persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Per molti è difficile chiedere asilo in Italia, altri cercano di recarsi in altri paesi europei che si mostrano in grado di offrire percorsi di accoglienza e di protezione migliori.

Nonostante il calo, è rimasto alto il numero di servizi richiesti al Centro, si pensi ai pasti offerti in un anno dalla mensa, oltre 115 mila, (invariati rispetto al 2011) con una media giornaliera di oltre 400 pasti. Significa che il sistema di accoglienza italiano è incapace di dare risposte persino ai bisogni più immediati.

I paesi di provenienza sono ancora soprattutto quelli dell’Africa Subsahariana (Costa D’Avorio, Senegal, Guinea Conakry, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo soprattutto), del Corno d’Africa e, dopo la crisi politica, il Mali, forte anche la presenza di afghani, pakistani e irakeni. Numerosi anche i kurdi turchi. E se le donne che si rivolgono al centro restano una minoranza, il 10%, sono ben il 22% i minori non accompagnati, soprattutto ivoriani, in condizione di forte vulnerabilità.

Secondo il rapporto, ma è una realtà da noi comprovata, molti titolari di protezione si trovano di fatto abbandonati a se stessi, con ben poche possibilità di trovarsi un percorso autonomo. Gli effetti della crisi e l’assenza di politiche integrate aumenta poi il rischio di marginalizzazione; aumentano i tempi di permanenza nei centri di prima e seconda accoglienza e scarso è il numero di persone che sono riuscite a costruirsi un proprio percorso autonomo di vita che comprenda alloggio dignitoso e occupazione.

Allo sportello lavoro, uno dei tanti servizi erogati dal Centro, si è registrato un incremento dell’accesso di donne, soprattutto africane, di età compresa fra i 40 e i 50 anni, che vivono anche da molti anni in Italia, alla ricerca dell’ennesimo lavoro di assistenza agli anziani. Il lavoro di cura è duro e usurante e gran parte di queste donne arrivano a tale età con seri problemi fisici che ostacolano la ricerca di una nuova occupazione. Dura anche la vita dei nuclei familiari: difficili le pratiche di ricongiungimento che, una volta realizzate, richiedono una progettualità complessa. Bisogna affrontare non solo il problema economico, ma anche quello dell’inserimento dei minori, con precise e specifiche esigenze difficili da soddisfare.

Un capitolo particolare per le vittime di tortura: quelle che si sono sottoposte ad una visita per il certificato medico-legale da presentare alla Commissione Territoriale, sono state nello scorso anno 267, con un incremento del 60% rispetto all’anno precedente. Il Centro di Orientamento Legale, ulteriore servizio, segue attualmente 439 vittime, di queste il 22% vive per strada, in edifici occupati o dichiara di essere saltuariamente ospitato da amici o parenti.

Aumenta poi sensibilmente il numero degli ospiti afflitti da problemi psichici anche gravi, che sovente è impossibile seguire in maniera completa a causa dei tagli che ha subito in generale l’assistenza sanitaria. Non solo a Roma, ma in tutte le regioni in cui il deficit sanitario pesa gravemente sul bilancio complessivo, si vanno rapidamente compiendo i tagli dei servizi alla persona e in particolare a coloro che sono maggiormente vulnerabili, autoctoni e migranti, senza distinzione e senza badare alle possibilità economiche di accesso a misure alternative.

Il lavoro del Centro è concentrato in larga parte a Roma con alcune strutture specifiche di intervento, ma ha anche aperto negli anni spazi di attività in altre città italiane: Catania, Palermo, Trento, Vicenza, Padova, Napoli e Milano.

Ma il rapporto contiene anche un altro volto da evidenziare: la lotta che il Centro Astalli sta conducendo, non da solo, ma spesso non in rete con altri soggetti, contro quello che definiscono “l’impoverimento culturale”. Nel 2012, circa 13 mila studenti sono stati coinvolti nei progetti didattici sul diritto di asilo e sul dialogo interreligioso in 12 città italiane.

La campagna “Città Invisibili” lanciata con la Giornata del Rifugiato è servita a stimolare i cittadini a conoscere in maniera meno approssimativa la condizione di tale problematica. Tra gli esempi concreti il progetto realizzato a Trento, My Life as a Refugee, che ha permesso a 5 rifugiati di seguire un corso fotografico organizzato dal Centro Astalli con sede a Trento e che ha portato alla realizzazione di una mostra fotografica inaugurata lo scorso novembre al Parlamento Europeo e che sarà esposta per tutto l’anno corrente in diversi Paesi europei. Si tratta di scatti di vita quotidiana che serviranno a lasciare un’impronta in quello che dovrebbe essere l’Anno Europeo della Cittadinanza.

Nel rapporto, denso di progetti che spaziano in ogni possibile campo della vita delle persone incontrate e assistite, brilla, per lo spirito con cui è stata realizzata, la scelta di inframezzare la descrizione statistica e quantitativa delle attività con alcune storie di persone, diverse nei percorsi e nei destini, ma emblematiche nel singolo vissuto. Le foto e le storie di Aweis, Franck, Isabel e Qaseir, provenienti da mondi e contesti diversi, sono volti e racconti diversi, ma tracciano una simile propensione al riscatto. Ed è forse la parte più forte, efficace e diversa dalla norma del rapporto che in queste interruzioni diviene strumento narrativo di vicende individuali a cui non si può togliere identità. Sono “Storie di rifugiati”, con inserti fotografici realizzati dal gruppo Shoot 4 Change che compiono un approfondimento su un tema complesso e difficile come quello dei ricongiungimenti familiari. Sono storie semplici, ma che in quanto tali, non possono lasciare indifferenti.

Stefano Galieni

Partner della formazione

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