Si è concluso Yaoundé, in Camerun, un meeting internazionale dell'Africa centrale ed occidentale sulla terra che aveva come tema Proteggere le comunità locali, le donne e le minoranze contro l'accaparramento delle terre. L'incontro è stato organizzato dall'Ong camerunense Community initiative for sustainable development (Cominsud), e da Brot für Alle/Pain pour le Prochain (Bread for All- Bfa), il servizio per lo sviluppo delle Chiese protestanti svizzere che sostiene 350 progetti e programmi per lo sviluppo in 50 Paesi in Africa, Asia ed America Latina e che è anche una potente lobby politico-culturale.
Il Camerun è stato scelto perché ha un clima favorevole alla coltivazione di numerosi prodotti redditizi e diverse sue regioni hanno ancora una bassa densità di popolazione, questo ne fa uno dei Paesi africani più ambiti dagli investitori internazionali e rischiano di far esplodere nel Paese il fenomeno del land grabbing che ha già colpito numerosi Stati del continente. Inoltre il governo del Camerun ha avviato una riforma fondiaria della quale deve ancora chiarire politiche e meccanismi.
Il meeting di Yaoundé è servito a condividere le esperienze di delegati provenienti da una decina di Paesi africani e dall'Europa. Lavorando direttamente con le comunità locali, i partecipanti hanno le carte in regola per chiedere ai governi di impegnarsi di più per salvaguardare I diritti delle comunità colpite dal land grabbing.
Secondo Nguti Mercy Fru, del comitato direttivo del Cominsud, «Questo incontro è stato una sorta di ricognizione delle leggi che violano i diritti della comunità» ed è necessaria una revisione che «Favorisca una miglior negoziazione della valorizzazione economica delle terre sulla base di una partership win-win».
Ester Wolf, di Bfa, ha detto che «Il land grabbing minaccia la scurezza alimentare nei Paesi vittime nella misura in cui la pratica dell'agricoltura non sarà più l'esclusiva delle comunità locali». La rappresentante dell'Ong delle Chiese protestanti svizzere ha proposto che «Le promesse fatte dai diversi investitori in materia di sviluppo siano mantenute e che gli indennizzi tengano conto della protezione a lungo termine delle popolazioni. In altri termini, è questione di rafforzare le capacità di questi partecipanti in materia di diritti degli autoctoni al fine che le loro voci abbiano un eco al momento di prendere delle decisioni sulle loro terre, perché la terra, fonte di vita, cessi di essere un fondo di commercio».
Mentre a Yaoundé si svolgeva questa iniziativa regionale di Ong e comunità locali, dall'8 all'11 aprile a Washington si è tenuta l'Annual World Bank Conference on Land and Poverty conclusasi con una dichiarazione nella quale il Gruppo della Banca mondiale sottolinea che «Entro il 2050, il mondo dovrà nutrire 2 miliardi di esseri umani in più di oggi. Per questo bisognerà accrescere del 70% la produzione agricola mondiale, una gigantesca sfida che potrà essere rilevata solo se il settore pubblico e il settore privato investono massicciamente nell'agricoltura, sia nelle piccole che nelle grandi attività. Ma investire non sarà sufficiente. La situazione è ancora aggravata dal livello elevato e dall'instabilità dei prezzi delle derrate alimentari e dell'energia, insieme agli effetti del cambiamento climatico ed alla penuria di risorse. A meno di arrivare ad aumentare il rendimento agricolo, la fame e la malnutrizione continueranno a colpire popolazioni numerose, impedendo loro di cogliere le opportunità alla loro portata per migliorare le loro condizioni di vita. Le riserve di terre utilizzabili si fanno rare e vediamo troppi speculatori ed investitori senza scrupoli approfittarsi dei piccolo contadini, dei piccolo allevatori e di altri gruppi impotenti nel difendere i loro diritti. E' particolarmente il caso nei Paesi che non hanno un sistema di governance fondiaria solida».
Le basi di partenza di Banca Mondiale, Ong africane e Chiese protestanti svizzere sono le stesse, ma le conclusioni alle quali arrivano sono diverse, anche se meno che nel passato. Il presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, assicura che «Anche il Gruppo della Banca mondiale si preoccupa per i rischi associati alle grandi operazioni di acquisizioni delle terre. L'accesso alla terra è una questione di vita o di morte per milioni di poveri. E' indispensabile mettere in campo politiche fondiarie moderne, efficaci e trasparenti per ridurre la povertà e favorire la crescita, la produzione agricola, il miglioramento della nutrizione e lo sviluppo sostenibile».
Quel che però fanno troppo spesso le moderne politiche fondiarie statali è quello di non riconoscere i diritti ancestrali, comunitari e tribali sulle terre che hanno fino ad oggi tutelato le comunità rurali autoctone. Senza questa presa d'atto e tutela di diritti non scritti e non cartografati, ma frutto di una presenza umana fatta di insediamenti, usi, costumi e coltivazioni autoctone anche il lavoro della Banca mondiale rischia di essere inefficace, perché avulso dalla reale situazione locale, come ammette lo stesso Jim Yon Kim: «In questi ultimi anni abbiamo accelerato i nostri investimenti nell'agricoltura, permettendo così ai piccoli agricoltori di accrescere la produttività, di ridurre lo spreco, di accedere ai mercati e di ottenere dei diritti fondiari chiari. Lavoriamo per facilitare l'accesso delle donne agricoltrici e di capi di impresa a dei finanziamenti. Ma bisogna fare di più per rafforzare le capacità e le protezioni in materia di diritti fondiari e per dare alle società civili i mezzi per chiedere conto ai loro governi». .
Alla conferenza di Washington la Banca mondiale si è impegnata nella dichiarazione finale a mobilitarsi «Più che mai» per: Migliorare la govenance fondiaria sviluppandone la trasparenza, i meccanismi di rsponsabilizzazione e la partecipazione ai processi decisionali; Proteggere i diritti dei proprietari fondiari ed ottenere dei vantaggi per i piccoli agricoltori; Promuovere delle politiche che riconoscano tutte le forme di possesso fondiario ed aiutare le donne a beneficiare degli stessi diritti fondiari degli uomini; Incoraggiare gli investimenti agricoli sostenibili sul piano ambientale e sociale.
La banca mondiale dice di operare da molto tempo «A favore della trasparenza e di una più grande apertura dei sistemi di gestione delle risorse. Tutti hanno interesse che informazioni di base sulle transazioni siano rese pubbliche», ma a dire il vero le multinazionali dell'agroindustria e diversi governi, spesso con il sostegno della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, sembrano avere l'interesse opposto.
La World bank ricorda il suo sostegno e la sua adesione alle direttive volontarie per una governance responsabile dei regimi fondiari applicabili alle terre, alla pesca ed alle foreste nel contesto della sicurezza alimentare nazionale e che «Costituiscono uno dei maggiori strumenti internazionali per orientare alcune riforme della politica pubblica, comprese le nostre procedure e raccomandazioni ai clienti. Il Gruppo della Banca mondiale collabora già con i Paesi per mettere in opera le direttive volontarie, soprattutto in Africa».
Ma proprio le politiche pubbliche troppo spesso aggirano e ignorano le direttive volontarie, e i governi diventano complici e/o organizzatori del land grabbing dei pascoli e delle coltivazioni comunitarie e tribali.
Cosciente di questo, la Banca mondiale ha avviato un processo di consultazione con tutte le parti coinvolte «In vista di esaminare ed attualizzare le nostre politiche di salvaguardia ambientali e sociali, che terranno conto delle direttive volontarie. Le acquisizioni fondiarie fanno parte dei punti esaminati nel quadro di questo dialogo». Viene però da chiedersi, tanto per fare un esempio, se in questo dialogo le tribù della valle dell'Omo avranno la stessa considerazione e peso delle multinazionali sudcoreane, saudite, indiane, cinesi, brasiliane ed occidentali che stanno occupando le terre ed i pascoli comunitari grazie a giganteschi progetti di svendita come quelli messi in atto dal governo etiope e di altri Paesi africani.
Intanto la Banca mondiale sta sostenendo la redazione e l'adozione dei Principi per gli investimenti agricoli responsabili insieme al Global Compact dell'Onu ed al Comitato per la sicurezza alimentare della Fao ed elaborando il Quadro di analisi della governance fondiaria (Caf), uno strumento che permette di valutare lo stato della governance fondiaria in ogni Paese e che viene già sperimentato in 18 Stati, 10 dei quali africani.
L'International finance corporation (Ifc) la branca del Gruppo della Banca mondiale che lavora con il settore privato, «Si impegna a promuovere gli investimenti agricoli responsabili presso le imprese private clienti ed a sviluppare l'utilizzo delle buone pratiche internazionali in materia di trasparenza e di gestione dei rischi ambientali e sociali. Le norma di performance del'Ifc sono state recentemente rafforzate e trattano numerosi delle direttive volontarie, in particolare gli impatti dell'acquisizione fondiaria per quel che riguarda specialmente la trasparenza, i diritti collettivi di possesso ed utilizzo ed i processi di consenso chiaro e di indennizzo equo. L'Ifc ha migliorato le sue procedure di audit preliminari e di valutazione dei rischi a monte, al fine di valutare l'impatto sulla sicurezza alimentare locale degli investimenti agricoli previsti su delle superfici importanti di terre. Sta anche per testare nuove esigenze di trasparenza nei casi di cessione delle terre pubbliche a degli investitori privati».
Letto questo lungo elenco di buone intenzioni e di correzioni annunciate di pessime abitudini, viene da chiedersi cosa abbia fatto fino ad oggi l'Ifc se non favorire il land grabbing delle terre comunitarie e pubbliche da parte dei suoi clienti privati. Infatti, negli ultimi 5 anni, con l'aumento della volatilità dei prezzi alimentari e della domanda per i biocarburanti, le terre agricole sono diventate un lucroso prodotto di base per gli investitori internazionali che hanno preso di mira soprattutto l'Africa. Secondo ricerche della stessa Banca mondiale, nel solo 2009 nei Paesi in via di sviluppo sono stati acquistati o affittati da imprese private, a prezzi spesso irrisori, circa 60 milioni di ettari di terreni e il processo di land grabbing va avanti. Spesso queste transazioni avvengono con la complicità dei governi, senza rispettare le orme internazionali che prevedono il coinvolgimento delle comunità locali ed attraverso un'opera di corruzione e di vessazione degli oppositori che riduce ancora la qualità della governance e della trasparenza nei Paesi che si prestano al land grabbing.
U.M.