Sono 1,3 miliardi le tonnellate di cibo sprecate ogni anno: salverebbero 900 milioni di persone. Tra gli scandali alimentari che montano in Europa, a testimonianza di una filiera industriale che non riesce a mantenersi fedele alla parola tracciabilità, e la piaga dell'obesità che negli Usa è affrontata dall'amministrazione Obama come un'emergenza nazionale, il direttore generale della Fao José Graziano da Silva (Nella foto) ha dovuto parlare dalla fine del mondo per ammonire ancora una volta noi occidentali: «Il cambiamento climatico è diventata una questione di sopravvivenza. Proprio come la fame».
Gli stati insulari dell'Oceania conoscono bene questa verità. Molte di queste terre rischiano letteralmente di venire affondate dal riscaldamento globale: si tratta di atolli che galleggiano di un sospiro al di sopra del pelo dell'acqua, e la loro sopravvivenza è legata ad una responsabilità che non è la loro, ma quella dei nostri Paesi di vecchia industrializzazione. Qui, invece, l'oceano si fonde ancora con la terra, e offre a Graziano da Silva il palcoscenico ideale per affrontare due grandi emergenze del nostro tempo, legate tra loro: la fame e il clima.
«Non può esistere davvero un'economia verde senza un'economia blu, che faccia dello sviluppo sostenibile negli oceani e delle risorse della pesca una priorità - ha osservato il leader dell'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura - L'importanza della pesca e dell'acquacoltura non può essere trascurato. Tali attività forniscono nutrimento a oltre 3 miliardi di persone, garantendo il 15 per cento del loro consumo medio pro-capite di proteine ??animali. Insieme, pesca e acquacoltura rappresentano oltre 200 milioni di posti di lavoro a livello globale».
Ma l'importanza degli oceani, naturalmente, non si esaurisce in rapporto al nutrimento umano. Insieme, riescono infatti ad «assorbire più del 25 per cento dell'anidride carbonica emessa in atmosfera dalle attività umane». Anche per questo l'attività umana non può permettersi di continuare a turbare «il ruolo chiave che gli oceani svolgono nella regolazione del clima terrestre».
Un mondo complesso non permette soluzioni che siano al contempo semplicistiche ed anche efficaci, e per lo stesso motivo non è possibile continuare a parlare di emergenza climatica senza affrontare anche quella alimentare. «Anche se il mondo ha guadagnato terreno nella lotta contro la fame - ricorda Graziano da Silva intervenendo al decimo meeting Fao dei ministri dell'agricoltura del sud ovest del Pacifico - ma c'è ancora molto lavoro da fare per migliorare sia la sicurezza alimentare e la qualità della nutrizione, e per raggiungere l'obiettivo di sviluppo del millennio di dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che soffrono la fame, misurata rispetto al 1990 come anno di riferimento».
Nel South West del Pacifico trova un pubblico quanto mai attento: si tratta di un'area che copre circa il 15 per cento del mondo, e comprende circa duemila isole e atolli che sono particolarmente vulnerabili a tempeste e inondazioni, scarsità d'acqua, e alle sollecitazioni sui sistemi della pesca e della silvicoltura.
Complessivamente, già oggi il mondo riuscirebbe a garantire a tutti i suoi figli un'adeguata alimentazione. Come ha ammesso la stessa Fao, sono però 1,3 miliardi le tonnellate di cibo che vanno perse o sprecate ogni anno. Sarebbe sufficiente riuscire a recuperare anche soltanto un quarto di questo cibo, distribuendolo dov'è necessario, e le 900 milioni di persone che ancora soffrono la fame potrebbero ricevere il necessario apporto calorico.
Al momento, non siamo riusciti neanche a raggiungere questo obiettivo minimo di buon senso. L'immobilità, evidentemente, non è soltanto un vizio della politica nostrana. D'altronde, come ha ricordato la presidente della Camera, Laura Boldrini, nel suo intervento a Torino, «viviamo in un tempo che non è affatto equo. Nel mondo l'1% degli uomini possiede il 40% di tutte le risorse del pianeta. Le tre persone più ricche del mondo hanno lo stesso peso economico dei 600 milioni di essere umani più poveri. Senza andar lontano, il patrimonio dei dieci italiani più ricchi è uguale alle risorse degli otto milioni di italiani più poveri». Consoliamoci: la consapevolezza di quest'emergenza è l'unica molla del cambiamento nel quale possiamo confidare, ed è nostro impegno approfondirla e diffonderla, per vederla germogliare. Allora sì, la green economy e la blue economy saranno davvero di un passo più vicine.
Luca Aterini