La presidente della Camera alla Biennale Democrazia. Unep: spesa in armamenti supera quella che basterebbe a orientare alla sostenibilità l'economia.
Luca Aterini
«La crisi economica ha spinto a guardare in modo diverso gli investimenti militari. Un dibattito, fino a ieri considerato "ideologico", ha assunto oggi la concretezza di un bivio: volete voi qualche cacciabombardiere in più, oppure quel denaro può essere investito per sostenere la spesa sociale?». La domanda che la presidente della Camera, Laura Boldrini (al centro nella foto), rivolge al pubblico della Biennale Democrazia (in corso a Torino, fino al 14 aprile), ha l'amaro sapore dell'ovvio che non riesce ad emergere. Qualcosa, però sta pian piano cambiando.
«Il tema delle spese militari, fino a qualche tempo fa oggetto - nel panorama italiano - di critiche che rimanevano circoscritte agli ambienti del pacifismo. Oggi - continua la Boldrini - la richiesta di riduzione di quelle spese si presenta ben più diffusa [...] L'utopia di un mondo meno armato quindi si è finalmente spogliata di ogni astrattezza per diventare stringente discussione su una possibile destinazione alternativa delle risorse pubbliche».
L'ultima grande operazione che è riuscita a scuotere l'opinione pubblica italiana sul tema della spesa militare è l'acquisto dei cacciabombardieri F35, che è riuscito a infuocare anche il dibattito politico. In tempo di drastici tagli al welfare e investimenti pubblici più produttivi (e sostenibili) si tratta di un tema di semplice etica ed economia, più che di partigianeria politica. Che una profonda riflessione in merito trovi la benedizione della terza carica della Repubblica, dunque, è quantomeno incoraggiante.
Ci auguriamo dunque che Laura Boldrini vada ancora oltre, e riesca a incoraggiare un proficuo confronto sull'opportunità di ridimensionare la spesa per armamenti al livello che gli compete, ossia anche in ambito internazionale. Le cifre in ballo suggeriscono ancora una volta di non indugiare oltre: come ricorda il Sipri -Stockholm international peace research institute nella sua ultima indagine in merito, nel 2011 la spesa militare mondiale stimata è stata pari a 1.738 miliardi di dollari.
Nello stesso anno, il rapporto Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication presentato dall'Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), «Un investimento del 2% del Pil mondiale in 10 settori economici chiave potrebbe, da solo, produrre una transizione dal nostro modello economico attuale (inquinante e inefficace) verso una green economy». Ebbene, investire il 2% del Pil mondiale annuo fino al 2050 significherebbe investire una cifra inferiore a quella dedicata alla spesa militare mondiale: stimando un'oscillazione da 1.053 a 2.593 miliardi di dollari, infatti, la media annunciata dall'Unep è di circa 1.300 miliardi di dollari annui.
Non è un caso, dunque, che la presidente della Camera nella sua lectio magistralis accosti la riduzione delle spese militari accanto alla «critica alla finanza speculativa» e alle «questioni dell'ambiente», affermando che «veniva considerato fuori dalla storia chi si permetteva di criticare il modello di sviluppo dominante», mentre è stata proprio l'avanzare della crisi a rivelare a molti che «la presunta "utopia" di uno sviluppo ecosostenibile si è rivelata la strada lungo la quale avviare la nostra ripresa».
Come non è un caso che già il fondatore della bioeconomia, il grande economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, abbia inserito al primo punto del proprio programma bioeconomico minimale che «la produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita». Nella nostra Italia bloccata da compromessi politici che non si riescono a trovare, porre al centro della riflessione questo programma minimo (che non occorre neanche la fatica di redarre) sarebbe una grande notizia per il Paese: è forse soltanto un'utopia? Può darsi. Ma, rubando le parole proprio a Laura Boldrini, vogliamo credere che «se c'è una parola a cui la storia dell'umanità deve molto, bene, quella parola è proprio utopia».