Tra le imprese che hanno già sviluppato azioni e processi maturi nel proprio percorso di responsabilità sociale si affaccia una nuova sfida, una sfida in grado di ridefinire il modello di creazione di valore mediante un’applicazione efficace e sostenibile di una nuova idea di prodotto, servizio, modello: trasformarsi in promotori, attori e protagonisti di pratiche di Social Innovation. La domanda è semplice: come può un’impresa dare risposta a bisogni sociali emergenti in modo innovativo, creando al contempo valore (non necessariamente economico) anche per se stessa? Come può un’impresa collocarsi come attore di sviluppo del contesto sociale in cui opera utilizzando il proprio business come leva per la creazione di nuove relazioni, collaborazioni e partnership e per proporre una risposta efficace (e redditiva) a istanze della collettività? Ovvero, l’impresa può, attraverso la propria value proposition, essere promotrice di un’offerta innovativa che soddisfi una domanda proveniente dalla collettività?
Due premesse, due dati di fatto liberi da ogni interpretazione morale (e moralistica). La prima: lo stato sociale è in fase di contrazione, e anche il terzo settore, che in Italia è stato per anni efficace supplente di alcune carenze del welfare, non vive la sua epoca migliore. La seconda: la crisi (chiamiamola così, per brevità) sta sollevando nuovi bisogni sociali e rafforzando, consolidandoli, i vecchi.
Questo periodo storico ha le credenziali per collocarsi come fertile laboratorio di innovazione sociale. E le imprese responsabili non possono permettersi di non sedersi a questo tavolo, non possono permettersi che il know how di cui sono portatrici sia tagliato fuori. Anche perché proprio da questo tema passano le future sfide di un vantaggio competitivo (o meglio, di un vantaggio collaborativo) per le imprese stesse. Forse è giunto il momento di avviare, per le imprese, un tentativo di riduzione delle dicotomie che da sempre le caratterizzano (capitale e lavoro, ambiente e salute, economia ed ecologia) per abbattere un capitalismo che cade a pezzi e ricostruire un nuovo modello economico, sostenibile, ad un tempo economico e sociale.
E proprio in questa ultima affermazione passa operativamente il tentativo per le imprese di inserirsi in tale processo di innovazione: attraverso azioni ad un tempo economiche e sociali.
Passare da un’ottica di giving tipica di un certo modo di concepire la CSR, ad un’ottica di co progettazione, di condivisione delle azioni e dei fini tra mondo profit e rappresentanti dei bisogni sociali, in grado di conciliare le esigenze di attori estremamente diversi tra loro in quanto a profilo culturale, metodologico e valoriale. La complementarietà delle risorse dei partner offre l’opportunità di generare soluzioni win win, in cui entrambe le parti perseguono i propri obiettivi sfruttando i vantaggi della collaborazione e ragionando in termini di innovazione.
Come può un’impresa trasformare operativamente la propria strategia di CSR in una strategia di innovazione sociale? Gli approcci possono essere due: il primo è legato alla domanda.
L’impresa può farsi veicolo e amplificatore di idee imprenditoriali sostenibili coerenti con la propria catena del valore, per rafforzarla e arricchirla. Una nuova strategia di valore di un’impresa deve essere aperta all’ascolto e in grado di intercettare i promotori di un’innovazione sociale coerente con il business. La completa e reale integrazione di processi e modelli sostenibili nell’attività dell’impresa ha un approccio sartoriale, naturalmente personalizzato alle peculiarità della missione. Si tratta di un rovesciamento dell’approccio di CSR che richiede un ripensamento del modo di lavorare delle direzioni aziendali, d’ora in avanti aperte a un’osmosi collaborativa con l’ambiente esterno. “This framework has the potential to reverse the typical role of CSR, currently viewed as a way to “give back” to communities that a business operates in. What happens when you reverse that model and place these investments at the front-end of your corporate innovation strategy? Can you drive both new opportunities and new behavior within your organization while achieving social impact?”, ha scritto recentemente Robert Fabricant sull’Harvard Business Review.
Alcuni esempi: Pepsi ha innovato il proprio modello di corporate giving, invitando innovatori a sottoporre idee in 6 categorie e finanziando fino a 32 idee al mese, anche rinunciando agli spazi pubblicitari acquistati in occasione del Super Bowl, Marks and Spencer ha strutturato un fondo di investimento (del valore di 50 milioni di sterline in 5 anni, destinati a 200 fornitori e 10.000 agricoltori) per promuovere innovazione sostenibile lungo tutta la catena di fornitura.
Il secondo approccio è legato all’offerta. Come e cosa può essere messo a disposizione dall’impresa, a costi marginali ridotti, per soddisfare un bisogno sociale in modo più efficace rispetto alle alternative esistenti? Il presupposto è semplice: l’azienda prospera se il territorio in cui opera prospera (e viceversa). L’intuizione dello Shared Value può essere d’aiuto: mappando la catena del valore di un’impresa (asset, processi, attività già in essere presso l’impresa) è possibile identificare le aree ad alta potenzialità di generazione di valore condiviso, utile all’azienda e al contesto in cui opera. Si tratta di lasciarsi guidare dall’efficienza (utilizzando quindi tutti gli asset al massimo delle possibilità), di aprirsi ad una nuova cultura d’impresa, trasparente e collaborativa, in grado di trasformare l’impresa in interlocutore credibile in tema di innovazione sociale. Identificare e mettere a disposizione le proprie leve di valore (come il know how, l’infrastruttura, i sistemi di gestione) a partner in grado di soddisfare bisogni sociali, uscendo dalla logica bidirezionale della CSR (impresa vs. stakeholder) ed entrando in una logica multidirezionale (impresa, partner, stakeholder, società), reticolare. Il processo di ricerca e sviluppo di un’impresa è un utile esempio, per quanto semplificato: abbracciare nell’azienda una strategia di innovazione sociale, significa trasformare le attività R&D da attività tipicamente interne a processi aperti e informali, che attivano intelligenza collettiva ed economie collaborative. Nike ha trasformato la propria Direzione CSR in “Nike Sustainable Business and Innovation”, predisponendo un Innovation Lab che investe in tecnologie sostenibili di rottura, con un approccio open, per i settori in cui Nike stessa opera. Un’ulteriore esempio ad alto potenziale è offerta dall’interazione strutturata e innovativa con i fornitori che compongono la supply chain, per rafforzare ad un tempo le attività di impresa, permettendo una crescita organica dei fornitori stessi, che a loro volta, incrementando la propria competitività e rilevanza sociale, possono farsi portatori di soluzioni innovative nei contesti di riferimento.
Si tratta di un cambiamento culturale forte, che poggia sulle spalle della responsabilità sociale, per uscire da una logica di protezione degli asset (operativi, reputazionali, etc.) ed entrare in un nuovo modello di vera creazione di valore. Si tratta di un cambiamento forse ineluttabile per le imprese che aspirano a mantenere una leadership nelle pratiche di sostenibilità come strumento di competitività: un nuovo punto di vista, un nuovo modo di osservare i bisogni, sociali ed economici, e di interpretare il ruolo dell’impresa, rileggendo la propria identità (ottimizzando tutti gli strumenti già a disposizione), per offrire risposte condivise e sostenibili.
CSR 2.0
Scritto da Giovanni Pizzochero