14 università sparse per l’Europa provano ad invertire la rotta. Per l’Italia c’è l’ateneo di Siena. Simone Borghesi (Siena) a greenreport.it: «Il sistema finanziario è fuori controllo».

Luca Aterini

«Quel che è successo è che nel 2007/2008 il valore nominale dei derivati che giravano per il mondo - cioè il valore scritto nei contratti - si aggirava su poco meno di settecentocinquanta trilioni di dollari. Il Pil globale nel 2007 è stato di 57 trilioni di dollari, quindi i derivati in circolazione equivalevano a più di dodici volte il Pil del mondo». Luciano Gallino ripercorreva così, solo qualche tempo fa, le origini di quella crisi finanziaria, poi trasformatasi in crisi economica e così rimasta fino ad oggi sulle nostre spalle. Eppure, nel convulso dibattito politico italiano, la finanziarizzazione sembra già uscita di scena. Non in Europa: lontano dai riflettori della grande comunicazione si sono appena riuniti a Londra - capitale finanziaria del Vecchio continente - i membri del progetto Fessud - Financialisation, economy, society and sustainable development, un'iniziativa fondamentale per interpretare quei lacci della finanziarizzazione che frenano le nostre possibilità di sviluppo sostenibile.

Lanciato nel 2011 - lo stesso anno dell'inchiesta europea sui derivati, che si è recentemente allargata fino a colpire l'International swaps and derivates association - Fessud è un progetto nato per cambiare le regole del sistema finanziario, in modo che possa servire al meglio il conseguimento degli obiettivi economici, sociali e ambientali. Ovvero, compiere ciò che finora non è riuscito a fare. In 60 mesi, e con un finanziamento europeo stimato in circa 8 milioni di euro, 14 università sparse per l'Europa - con quella di Leeds come capofila - proveranno a porre le basi per invertire la rotta.

Il progetto è diviso in 12 diversi work packages: All'Università di Siena, unica rappresentante dell'Italia, è stata assegnata la leadership del numero 7, dedicato a Finanza, ambiente e sostenibilità, quello «con una forte caratterizzazione ambientale». Simone Borghesi, economista ambientale che fa parte di quel pugno di ricercatori e professori senesi capeggiato da Alessandro Vercelli, spiega a greenreport.it che «Fessud, nel suo insieme, verte sui temi della finanza e dello sviluppo sostenibile, inteso come l'insieme della sostenibilità economica, ambientale e sociale. L'idea è quella che il processo di finanziarizzazione in corso abbia in qualche modo peggiorato ciascuna delle componenti della sostenibilità: economica, sociale ed ambientale». È proprio l'Università di Siena ad occuparsi principalmente di quest'ultima componente. «L'Europa ritiene prioritaria un'indagine di questo tipo - continua Borghesi - perché il processo di finanziarizzazione è fuori controllo: gioca un ruolo fondamentale nel permettere l'accumulazione di capitale produttivo per il settore reale, ma nelle ultime decadi quello finanziario è diventato un settore quasi esclusivamente speculativo».

Uno dei più grandi problemi che stanno alla base delle crisi è infatti quello che chiamiamo il cortotermismo, ossia «il prevalere di un'ottica di breve periodo che induce le imprese a rinunciare ad investimenti di medio-lungo periodo per perseguire piuttosto risultati immediati nel breve. Ciò porta l'orizzonte temporale del settore finanziario ad essere estremamente limitato, molto più di quello dei policy makers, con risultati controproducenti nel medio-lungo periodo per la stabilità del settore finanziario stesso».

La finanziarizzazione ha rallentato il raggiungimento della sostenibilità nel suo triplice aspetto, ma in che modo? «Dal punto di vista economico - spiega Borghesi - la finanziarizzazione si è tradotta in aumento di attività speculative e non di investimenti reali, rallentando la crescita economica e incrementando l'instabilità del settore reale. Per quanto riguarda la sostenibilità sociale, la finanziarizzazione ha aumentato la disuguaglianza, sia purché la maggior parte dei benefici prodotti sono andati a pochi speculatori, sia purché i salari sono cresciuti più rapidamente nel settore finanziario che negli altri settori ed è aumentato a dismisura il gap retributivo tra i top managers ed il resto dei lavoratori. Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, infine, l'incremento del settore finanziario ha ostacolato gli investimenti reali in tecnologie a basso impatto ambientale: se il rendimento atteso della speculazione è più alto del rendimento atteso da un investimento in una nuova tecnologia, ciò che viene rallentato è proprio l'avvento di nuova tecnologia. L'esempio più chiaro in tal senso è quello dell'emission trading - ossia il mercato Ets - che in questo momento ha un andamento molto speculativo».

Eppure, questo è un settore finanziario dove proprio l'Europa sta investendo molto. «L'Ue si è presentata negli ultimi anni come il campione delle politiche ambientali, ma adesso rischia di perdere anche la posizione che era riuscita a conquistarsi. Credo che invece la crisi debba essere un'occasione - una ghiotta occasione - per ripensare certe cose: in primo luogo, proprio il sistema finanziario».

La tassa sulle transazioni finanziarie è un primo passo in tal senso, ma occorre anche creare al più presto «strumenti di regolamentazioni più diretti ed efficaci per introdurre limitazioni alle dimensioni di banche e imprese, ridurre il ruolo e il peso dei derivati, intervenire sull'Ets in modo da rialzare il carbon price». Queste sono solo alcune delle proposte in campo, tra le più immediatamente attuabili. Per un drastico cambiamento di rotta, però, è importante che questo dibattito torni vivo nel campo del confronto politico.

Come nel caso dell'Spd tedesca, che nel suo programma elettorale ha inserito la necessità di "proibire le manovre speculative sulle materie prime e l'energia". «Si tratta di una posizione molto interessante - commenta Borghesi - e potrebbe essere prodromica a quella serie di cambiamenti di cui a mio avviso abbiamo bisogno: anche la nostra idea di regolamentazione del settore finanziario va un po' in questa direzione. È ovvio che si tratta di un terreno scivoloso, perché in un mondo globalizzato non è facile fare interventi unilaterali - come quello suggerito dall'Spd - ma è anche vero che il gioco a non intervenire mai per paura di concedere vantaggi ad altri ci porta ad una tipica situazione di equilibrio di Nash, come descritto nel dilemma del prigioniero in teoria dei giochi, in cui nessuno fa niente per non avvantaggiare l'altro: gli individui non cooperano finendo per stare peggio di come starebbero se cooperassero. Ne consegue un totale immobilismo in cui nessun accordo viene raggiunto, nessun intervento viene implementato, col risultato di peggiorare la situazione di tutti. Ecco perché io sono favorevole anche ad interventi talora simbolici, ma che quantomeno possano permetterci di intraprendere un percorso: su questo punto l'Europa deve riprendersi una posizione di rilievo, che a mio avviso ha un po' abbandonato. Quindi, ben venga che se ne parli: potrebbe non essere questa la soluzione ottimale, ma anche i segnali hanno un valore».

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