Uno dei temi più discussi è la difesa dai progetti di fracking, l’estrazione di gas naturale attraverso l’esplosione di rocce fino a sei chilomentri di profondità, con un impatto devastante sull’ambiente e sulla salute delle persone.
Le primavere arabe non possono ancora considerarsi processi rivoluzionari conclusi. La popolazione tunisina denuncia ancora un clima di censura e repressione, e molti giornalisti e blogger incontrati qui al Forum credono che il processo di cambiamento reale debba ancora sedimentare e sia solo all’inizio. Tuttavia sembra crescere la mobilitazione di alcune realtà associative e soprattutto dei giovani studenti che rivendicano la democratizzazione della vita pubblica, il diritto al lavoro, all’accesso all’informazione e il miglioramento generale della qualità della vita. L’attenzione è crescente anche rispetto alle emergenze ambientali che il paese vive.
Ripercorrendo la storia del caldo 2010, in effetti, è proprio dalle mobilitazioni di due anni prima – aventi come protagonisti i lavoratori del bacino minerario di Gafsa – che prese il via il movimento nazionale sfociato nella rivoluzione dei Gelsomini. Le criticità ambientali e l’impoverimento delle zone ad alta intensità industriale è una costante nei racconti dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile tunisina impegnate nei temi ambientali incontrati al Forum.
Il tema centrale e di sicuro più emergenziale è la scarsità d’acqua, denunciata anche dalla Nazioni unite. Concorrono a rendere drammatico l’approvvigionamento alle risorse idriche della popolazione le colture intensive di alimenti destinati all’esportazione e i progetti estrattivi altamente contaminanti, come per esempio il fracking (o estrazione del gas di scisto).
All’interno del Forum numerosi seminari sono dedicati a questo tema. Il workshop “Le verità nascoste della fratturazione idraulica: costruendo alleanze tra i movimenti di paesi colpiti dalla fratturazione” è organizzato da numerose organizzazioni internazionali tra le quali ATTAC France, Blue Planet Project, GIEST (Group d’intelligence economique et scientifique de Tunisie) Amis de la Terre, Coordination Nationale des Collectifs “non au gaz et hulle de schiste” ed è tra più partecipati al Forum.
Il fracking
La necessità delle differenti organizzazioni è cercare strategie e sinergie per informare le comunità e la gente in generale sui rischi di questa nuova e devastante pratica estrattiva. Il fracking è una pratica estremamente invasiva e consiste nell’estrazione di gas naturale attraverso la fratturazione idraulica, ossia attraverso un processo di perforazione multilivello, che prevede l’esplosione di rocce fino a sei chilomentri di profondità per creare delle fessure dalle quali far passare il gas naturale (chiamato non convenzionale) spinto al di fuori della roccia attraverso l’iniezione di grandi quantità d’acqua. Una volta raggiunto il punto di formazione della roccia il processo di perforazione avviene orizzontalmente attraverso l’introduzione di esplosivo, in maniera tale da catturarare la maggior quantità di gas. Le acque iniettate oltre ad essere piene di sostanze altamente tossiche fuoriescono come acque di produzione contaminando non solo le falde acquifere ma anche i suoli sui quali ha luogo la perforazione. Si stima che ogni 4 milioni di litri iniettati una percentuale tre il 20 e il 40% riemerge in superficie. Nessun impianto di depurazione attualmente esistente riesce a trattare efficacemente una quantità tale di acqua.
Oltre al gravissimo impatto legato all’utilizzo dell’acqua, questo processo estrattivo produce livelli di emissioni di Co2 nettamente maggiori rispetto ai processi convenzionali di estrazione del gas, del petrolio e del carbone. Secondo il rapporto del National Research Council esiste inoltre un altissimo rischio di fenomeni sismici connessi alle attività.
I primi progetti di fracking risalgono ai primi anni del 2000 (precisamente nel Texas nel 2002) ed hanno interessato inizialmente Nord America, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Ad oggi numerose imprese in numerosi paesi conducono studi di prospezione per implementare progetti di questotipo. Tra queste l’Eni in Italia e la Shell (tra le altre) in Tunisia. Data la facilità di trovare i terreni necessari a questo tipo di attività (argillosi e composti da sabbie bituminose) ilfracking si sta espandendo molto rapidamente anche grazie all’operazione mediatica delle imprese che presentano i progetto come iniziative green.
L’iniziativa “Global Shale Gas” promossa dal Dipartimento di Stato americano nel 2010 presentava il gas di Scisto come “una risorsa pubblica estremamente accessibile e globalmente diffusa”. Di fatto le grandi lobbies petrolifere mondiali vedono avvicinarsi il peak of oil e considerano il fracking una buona ed economica alternativa energetica mondiale. Per implementarla, le multinazionali stanno promuovendo da alcuni anni vere e proprie politiche di land grabbing (accaparramento di terra) sottraendo grandi estensioni di terreni all’agricoltura. L’allarme è globale e persino il parlamento europeo ha riconosciuto gli impatti negativi dello sviluppo di queste attività.
Cosa accade in Tunisia
Al seminario incontriamo Sabria Barka, biologa e attivista dell’organizzazione tunisina Eco-Conscience alla quale chiediamo di raccontarci la situazione relativa all’espansione del fenomeno in Tunisia. Secondo Sabria gli impatti sulla salute umana delle prossime generazioni saranno devastanti per l’alto livello di tossicità e cancerosità delle sostanze che contaminano le falde acquifere e le acque di superficie.
In Tunisia la mobilitazione sociale è purtroppo ancora molto debole a causa della complessità del tema e della difficile comprensione tecnica del fenomeno da parte della popolazione. Inoltre i danni non sono ancora visibili e saranno evidenti solo nel medio o lungo termine, ciò rende ancor più difficile la diffusione della resistenza sociale ai progetti di fracking, che vengono presentati dalle imprese come opportunità di impiego e di crescita economica per le comunità locali.
Ad oggi non vi sono leggi che regolamentino tale attività e il governo è interessato agli investimenti stranieri a causa della crisi economica. Tra le imprese interessate vi sono Shell, Sigma e Perenco. Il lavoro delle organizzazioni tunisine impegnate nell’opera di sensibilizzazione della cittadinanza e di pressione al governo sembra ad oggi aver però bloccato le operazioni di ricerca della Shell nel territorio tunisino. Una piccola vittoria che va messa in rete con le tante battaglie in corso nel frattempo nel resto del mondo.
Il Forum sociale mondiale oggi serve anche a questo. A costruire un orizzonte di lotta comune tra le tante realtà che nel mondo lavorano per denunciare la pericolosità della pratica del fracking e che oggi più che mai hanno bisogno di incontrarsi e creare uno spazio globale di analisi che rafforzi le singole vertenze nazionali e costituisca un luogo di scambio di saperi e conoscenze per immaginare strategie di resistenza e pratiche di lotta comuni. Oggi la parola mondiale si riempie di senso.
da Tunisi, Laura Greco e Matilde Cristofoli / A Sud