Dove l’austerità è più forte «Suicidi e focolai di malattie infettive stanno diventando più comuni». Lo speciale di The Lancet e le prospettive di sviluppo sostenibile che potremmo inseguire.
All'inizio del secolo scorso, quando la pandemia dell'influenza spagnola restituì al mondo un numero inimmaginabile di cadaveri (le ultime stime variano dai 50 ai 100 milioni), la rivista The Lancet - fondata in Inghilterra nel 1823 dal chirurgo Thomas Wakley - già esisteva per raccontarlo. Adesso, uno dei settimanali medico-scientifici in assoluto più autorevoli del globo si vede obbligato a dedicare uno speciale sulla salute europea all'interno della crisi che più ci spaventa da quella scoppiata nel 1929.
Il plurifirmato rapporto Crisi finanziaria, austerità e salute in Europa si presenta in termini inequivocabili: «Grecia, Spagna e Portogallo hanno adottato una rigorosa austerità fiscale; le loro economie continuano a indebolirsi e la tensione sui loro sistemi sanitari è in crescita. Suicidi e focolai di malattie infettive stanno diventando più comuni in questi paesi, e i tagli di bilancio hanno limitato l'accesso alle cure sanitarie. Per contro, l'Islanda ha respinto l'austerità attraverso il voto popolare, e la crisi finanziaria sembra aver avuto effetti pochi o nessun effetto percepibile per la salute». In generale, la crisi finanziaria in Europa ha posto «gravi minacce» per la salute. Pur con molte differenze tra i vari paesi, «La nostra analisi - scrivono gli otto autori - suggerisce che [...] Le decisioni politiche su come rispondere alla crisi economica hanno effetti pronunciati e indesiderati sulla salute pubblica».
Un'analisi spietata, che riporta alla mente i numerosi fatti della cronaca quotidiana, tristemente costellata di suicidi, pur seguiti da un approfondito dibattito statistico sull'entità del fenomeno. Ma le dimensioni del fenomeno si colgono guardando anche ai piccoli casi, come Walter Ricciardi, direttore dell'Osservatorio nazionale sulla salute dell'università Cattolica di Roma commenta sull'Ansa: «Nel nostro paese ormai nove milioni di persone ha rinunciato a curare disturbi di piccola e media, o per le liste d'attesa troppo lunghe, o perché non riesce a pagare le terapie».
Col passare degli anni di una crisi che pare interminabile, finiamo così per mettere in gioco le nostre stesse vite, non solo la loro qualità. Continuiamo a perpetuare sacrifici di capitale umano sull'altare di un'inutile austerità, vedendo nel frattempo passare tutti quei treni che su cui potremmo provare a montare per risalire la faticosa china che abbiamo davanti: parliamo di innovazione, e nel mentre l'Italia (e una buona fetta dell'Europa) stagna in condizioni di arretratezza, come testimonia la Commissione Ue. La stessa che ammonisce sulla pressione cui sono sottoposti - anche a causa dei vincoli imposti proprio dall'Ue - i «bilanci dell'istruzione negli Stati membri». L'Italia continua in questo caso la sua tradizione, e rientra anche stavolta nel novero dei peggiori, con tagli superiori al 5%.
Eppure, per perseguire la strada di uno sviluppo sostenibile - che, secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro, da qui a vent'anni potrebbe garantire la creazione di nuovi 60 milioni di posti di lavoro - l'innovazione e l'istruzione sono due elementi imprescindibili e strettamente dipendenti l'uno dall'altro. In Italia, invece, i pochi laureati che ci sono (altro che choosy!) addirittura soggetti ad un fenomeno di overeducation, ossia sono frequentemente impiegati in lavori a bassa specializzazione. Uno spreco enorme, causato da un sistema produttivo inadeguato ad assorbirne le conoscenza e ad una politica industriale per rimediarvi che ancora non è stata disegnata.
Di fronte a quello che, in definitiva, risulta essere soltanto un (enorme) gap politico, possiamo provare a consolarci. In fin dei conti, l'umanità è sopravvissuta e persino progredita dopo l'influenza spagnola, ossia all'esplosione di un virus dove le colpe - e dunque i margini d'azione - degli uomini erano ben più circoscritte che non nella crisi dei giorni nostri. Stavolta, invece, sta a noi scegliere che fare, e potremmo persino imbroccare la scelta giusta. Ma attenzione: questa libertà potrebbe essere la nostra condanna. Dopotutto, il virus dell'influenza spagnola potrebbe risultare meno resistente di quello dell'ignoranza e ignavia politica, che crea quei mostri che vediamo benissimo all'opera in questi giorni, proprio in Italia.
Luca Aterini