L'europarlamentare Emma Bonino si unisce a intellettuali arabe e africane nella battaglia contro una tradizione di violenza e umiliazione
Dossier del grande giornale Al Ahram sulle mutilazioni femminili: «L'Islam è contrario»
«Solo cinque anni fa parlarne era tabù, praticarla era normale tra la gente, la sua diffusione era sottovalutata dall'élite, perfino molte femministe la ignoravano. Come non esistesse. E oggi, oggi sta succedendo qualcosa che avrei pensato irrealizzabile». Chi parla è Moushira Khattab, diplomatica egiziana e capo del Consiglio nazionale per l'infanzia e la maternità (governativo), che da anni combatte soprattutto su un fronte: contro quello che giudica il nemico numero uno di donne e bambine africane e arabe, musulmane e cristiane, perfino ebree e animiste, ovvero la mutilazione genitale femminile o «Mgf» come viene chiamata dagli esperti. Praticata in molti Paesi in forme più o meno estreme, dalla cliteridectomia parziale o totale fino all'infibulazione. Al tema - e questa è parte della novità - il più grande quotidiano in lingua araba, l'egiziano Al Ahram , dedica ora un dossier, in vendita per pochi centesimi da domenica prossima con il giornale e a firma di un autorevole erudito islamico. Titolo: «La circoncisione delle donne dal punto di vista dell'Islam» del dottor Salim Al Awaa. Una trentina di pagine - sette domande e relative risposte, più una serie di citazioni di prestigiosi sheikh - dove si dimostra l'infondatezza di tale pratica in base alle fonti islamiche classiche ( Corano e detti del Profeta) e si arriva anzi a condannarla perché «fondata solo su tradizioni popolari contrarie alla salute fisica e psichica della donna, la cui sessualità è ammessa dal Corano ». Anche dal punto di vista della legge islamica, conclude Al Awaa, può quindi essere tranquillamente vietata.
«E' una prima assoluta, un giornale diffuso in centinaia di migliaia di copie, un po' l'equivalente egiziano del Corriere , che porterà in tutte le famiglie del Paese il chiaro messaggio che l'Islam, così come il Cristianesimo o qualsiasi religione, non ha nulla a che fare con tutto questo» commenta da Bruxelles Emma Bonino, anche lei impegnata da tempo nella battaglia contro la «circoncisione femminile» per usare il termine più popolare ma più ambiguo, poiché crea confusione con la pratica che l'Islam (come l'ebraismo) impone per obbligo ai maschi.
«Ma le novità non si fermano qui - continua Bonino, residente al Cairo da anni -. Tv e altri media egiziani parlano di questo tema sempre più spesso e apertamente e dall'Egitto la battaglia si è allargata a tutta la regione. Dalla Conferenza del Cairo del giugno 2003 le cose si sono mosse velocemente». E' da quell'incontro, voluto fortemente dall'europarlamentare italiana e dalla diplomatica egiziana, che l'attenzione del mondo si è concentrata con forza sulla «Mgf», a cui era dedicato. Rappresentanti della società civile e dei governi di 28 Paesi in cui la mutilazione è diffusa (soprattutto Africa centrale e orientale, qualche nazione araba ma non quelle del Golfo dov'è sconosciuta, l'Europa dove la «Mgf» è arrivata con gli emigrati) avevano dibattuto e confrontato dati e strategie, sotto l'egida di Suzanne Mubarak, moglie del presidente egiziano, e con la benedizione delle massime autorità religiose del Paese: sheikh Tantawi, grande imam di Al Azhar, e papa Shenuda III, patriarca copto.
Un successo insperato: lo stesso sheikh Tantawi era apparso alla tv nazionale condannando con parole inequivocabili la «circoncisione femminile». E le delegate africane avevano espresso un'invidia benevola per l'Egitto e le sue inedite aperture. «In realtà - ricorda Khattab - dopo pochi mesi, da quasi ogni Paese era arrivata la richiesta di materiale e presenza a conferenze sull'argomento, l'intera regione ha rotto il tabù». Ed Emma Bonino aggiunge che proprio la ministra del Kenya Lina Kilimo, che aveva lamentato al Cairo il proprio isolamento nel governo kenyota per la battaglia contro le «Mgf», era riuscita a organizzare la grande conferenza che si è tenuta a Nairobi lo scorso settembre. «A quella seguiranno già a inizio febbraio l'incontro di Gibuti e a maggio la conferenza in Mali, Paesi finora poco disposti a parlare dell'argomento - dice Bonino -. Tutto questo fa sperare bene per il Protocollo di Maputo, firmato due anni fa dai capi di Stato e di governo africani, che sancisce in modo ampiamente progressista i diritti delle donne, compreso quello all'integrità del proprio corpo. Sono necessarie le ratifiche di 15 Stati perché il protocollo entri in vigore, siamo arrivati a sei: se resistiamo in un anno o poco più è fatta. Dobbiamo andare avanti».
Resistere, quindi, e continuare a combattere insieme ai governi occidentali, alle organizzazioni multinazionali come Unione Europea, Nazioni Unite, Organizzazione mondiale per la sanità, alle società civili del Nord e del Sud del mondo, a Ong e associazioni. Perché, anche se il vento è cambiato, la battaglia è tutt'altro che vinta. Ancora oggi si parla di almeno 100-130 milioni di donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali, con due milioni ogni anno di nuovi casi ad aggiornare la lista e con livelli di escissioni più o meno gravi ed estese, a seconda delle regioni. «Ma in realtà dati precisi non ci sono - dice Khattab -. In Egitto qualcuno parla dell'80% e più delle ragazze e delle donne a cui è stata imposta: credo sia un dato esagerato, nella classe media urbana non è diffusa da tempo, ma è vero che ancora oggi ci sono vecchi nei villaggi, medici e imam che difendono la "Mgf", la spacciano per precetto religioso o virtù sociale quando è solo un orrore e quando esiste già un decreto ministeriale che la vieta penalmente e prevede la prigione per chi la pratica». Come Emma Bonino, Moushira Khattab è comunque abbastanza ottimista: «Un sondaggio recente mostra che il 52% degli adolescenti egiziani, maschi e femmine, è contrario alla circoncisione delle ragazze. Una volta, solo pochi anni fa, nessuno avrebbe avuto il coraggio di dirlo. Magari in buona fede, non l'avrebbe nemmeno pensato».
Cecilia Zecchinelli
Corriere della Sera, 6 gennaio 2005