Anni di dibattiti, riflessioni, partecipazione. E poi, una delega a tutto campo, ambigua a tal punto da lasciare spazio a decreti attuativi che, all'interno di generici titoli, possono prevedere tutto e il contrario di tutto. Sul disegno di legge delega per la riforma della cooperazione allo sviluppo non sono solo dubbioso. Sono deluso per l'occasione persa dal governo.
Certo, il dld va salutato positivamente, e in questa direzione vanno le prime dichiarazioni delle ong, sostanzialmente positive (anche se qualche critica non è stata risparmiata). In effetti, il provvedimento recepisce la comune volontà di accelerare il cammino di riforma dell'attuale normativa. Venti anni sono passati dal 1987, quando fu approvata la legge 49. Nel frattempo il mondo è cambiato, i concetti di cooperazione e di sviluppo sono mutati e gli attori impegnati si sono moltiplicati. Ho però esaminato il contenuto del testo, e vi appaiono purtroppo alcune gravi carenze e una visione statalista della cooperazione che pensavo superata e che rimane lontana dal sentire politico e dal vissuto della società italiana che, ancora una volta, è più avanti della "politica".
Innanzitutto, il dld pare non avere anima. Ed è risaputo che una cooperazione allo sviluppo senza una chiara visione della sua primaria e qualificante collocazione nella politica estera è destinata a rimanere "parte integrante" - leggasi strumentale - di questa politica, come è sempre stato. Forse per esagerata sinteticità, viene espresso un piattume burocratico-regolamentare, di questi tempi d'altronde sviluppato anche nelle istituzioni europee, che preoccupa non poco. Se la nuova cooperazione è vista solo come un insieme di regole, procedure e gestione tecnica, allora meglio sarebbe tenerci la legge 49 modificandone i meccanismi di gestione.
Eppure le novità ci sono, ma esprimono poco dell'ampio dibattito che si è sviluppato sulla base dell'esperienza. Se il governo non ascolta la voce di chi ha vissuto la cooperazione, perde una straordinaria occasione di confronto e di arricchimento. La cooperazione allo sviluppo, fin dalla sua definizione normativa, non può essere delegata solo a giuristi, tecnici o politici che la conoscono solo in modo indiretto. Il testo esprime una concezione pubblica della cooperazione esageratamente "possessiva". L'Agenzia operativa è la migliore soluzione per potere gestire in modo efficace i fondi destinati alla cooperazione. Il dld le attribuisce però un potere quasi assoluto e una possibilità di azione che invade campi che non le competono, come quello diplomatico-negoziale con i Paesi in via di sviluppo, o il campo più specifico della società civile dove le organizzazioni sociali, le ong, le associazioni hanno il proprio riferimento vitale. [...]