In occasione dell'uscita in Italia del film Blood Diamond, prodotto dalla Warner Bros, la Sezione Italiana di Amnesty International rilancia la propria campagna "contro i diamanti della guerra", che culminerà in una serie di iniziative il 14 febbraio, giorno di San Valentino.
Il commercio miliardario dei diamanti provenienti da zone di guerra ha finanziato e finanzia ancora oggi guerre civili che in Africa dall'inizio degli anni ?90 hanno provocato più di 3,7 milioni di vittime e milioni di rifugiati in Angola, Liberia, Sierra Leone, Repubblica Democratica del Congo e Costa d'Avorio. Il denaro ottenuto con il commercio dei diamanti ha permesso ai gruppi ribelli in questi paesi di acquistare illegalmente armi e finanziare conflitti devastanti, con la complice indifferenza dell'industria dei diamanti e degli Stati coinvolti.
Blood Diamond (Diamante insanguinato) solleva il velo su questo turpe commercio. Ambientato all'apice della guerra civile che ha devastato la Sierra Leone alla fine degli anni '90 (un conflitto che ha provocato più di 370 mila morti e durante il quale sono stati impiegati decine di migliaia di bambini soldato), il film mostra senza indulgenza il terribile legame fra lo sfruttamento delle pietre preziose e la carneficina e le violazioni dei diritti umani che le fazioni rivali hanno fatto soffrire alla popolazione civile, anche grazie al denaro ricavato con il commercio illegale dei diamanti: amputazioni sistematiche ("manica lunga o manica corta?", chiedevano gli aguzzini alle vittime), stupri, torture, sparizioni, rapimenti e arruolamenti forzati di bambini. Senza contare i milioni di sfollati.
Il film ricostruisce la reale situazione della Sierra Leone alla fine degli anni '90. I ribelli del Fronte rivoluzionario unito (Ruf) hanno realmente finanziato la loro guerra grazie al contrabbando di diamanti grezzi provenienti da miniere situate nel territorio sotto il loro controllo. Un commercio che fruttava al Ruf una cifra stimata tra 30 e 125 milioni di dollari all'anno.
Per fermare questo commercio illegale, l'industria dei diamanti ha inizialmente fatto ben poco. Amnesty International, in collaborazione con altre Organizzazioni non governative (Ong) come Global Witness, ha ripetutamente denunciato questo traffico che alla metà degli anni '90 era stimato rappresentare il 15% del volume totale del commercio globale di diamanti. Nel 2000, un rapporto redatto da esperti delle Nazioni Unite ha corroborato le denunce di Amnesty e delle altre Ong e l'industria dei diamanti ha dovuto ammettere di avere peccato nel vigilare sul traffico delle pietre grezze africane.
Anche temendo ripercussioni negative a livello di immagine, l'industria dei diamanti - rappresentata nel World Diamond Council - ha accettato di negoziare con i governi e le Ong un sistema di certificazione delle pietre conosciuto come Processo di Kimberley, dal nome della città del Sudafrica dove si è svolto il primo incontro. Questo sistema, che dovrebbe consentire di risalire all'origine delle pietre prima del loro taglio, prevede un controllo statale sulle spedizioni e richiede l'impegno dell'industria dei diamanti nel promuovere metodi di garanzia volontari. Il Processo di Kimberley ha permesso di ottenere alcuni miglioramenti, ma gli Stati coinvolti nel commercio mondiale dei diamanti e l'industria del settore non fanno ancora abbastanza per sradicare completamente questo traffico.
Ancora oggi il denaro ricavato dai diamanti finanzia guerre civili: nell'ottobre 2006 un nuovo rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che diamanti per un valore di 23 milioni di dollari provenienti dalla Costa d'Avorio - nella cui parte settentrionale è in corso un conflitto civile - sono stati infiltrati nel commercio legale passando dal Ghana, Stato che ha partecipato al Processo di Kimberley, dove vengono certificati come "diamanti liberi da conflitto".
Blood Diamond non è dunque soltanto un film di finzione e la storia che racconta non riguarda soltanto il passato, come afferma l'industria mondiale dei diamanti, secondo la quale oggi il commercio dei diamanti della guerra non supera l'1% del traffico globale. Diamanti della guerra o "insanguinati" raggiungono ancora le vetrine delle gioiellerie di tutto il mondo sfruttando l'inefficacia degli strumenti di controllo attualmente in atto.