l risultato nasce dalla stretta collaborazione tra il gruppo finanziato da Telethon di Marco Tartaglia, direttore del reparto di Metabolismo ed Endocrinologia Molecolare e Cellulare, presso il Dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell'Istituto Superiore di Sanità di Roma, e quello di Bruce Gelb della Mount Sinai School of Medicine di New York. Nel 2001 i due ricercatori avevano identificato il primo gene, responsabile di circa il 50% dei casi di sindrome di Noonan, chiamato PTPN11.

Un secondo gene, KRAS, individuato quest'anno dagli stessi due ricercatori e da un gruppo europeo-statunitense, è alla base di meno del 2% dei casi. In questo studio l'analisi è stata condotta sul DNA di 129 pazienti italiani e stranieri per i quali non si conosceva la causa della malattia, non essendo stati trovati difetti nei geni PTPN11 e KRAS: di questi, 22 mostrano mutazioni nel gene SOS1 (17%). Al lavoro, pubblicato on-line sulla rivista Nature Genetics, ha partecipato anche il gruppo guidato da Bruno Dallapiccola dell'Istituto CSS-Mendel di Roma.

Il gene SOS1 produce una proteina intracellulare che svolge un ruolo cruciale nella catena di segnali biologici che portano a crescita, proliferazione e differenziamento cellulare.Le mutazioni identificate modificano la struttura della proteina promuovendo un'iperattivazione dei segnali stessi. Se, come nella sindrome di Noonan, l'anomalia è già presente al concepimento del nascituro, o perché ereditata da un genitore, o perché sorta spontaneamente, lo sviluppo embrionale è difettoso. I bambini con sindrome di Noonan che presentano un difetto in SOS1 mostrano infatti caratteristiche cliniche peculiari, tra cui anomalie ectodermiche e macrocefalia, contrapposte a uno sviluppo e una crescita per lo più normali. Commenta Tartaglia:

"A oggi sono tre i geni coinvolti nella sindrome di Noonan, ma per il 40% dei pazienti l'origine della malattia resta ancora inspiegata: i prossimi passi saranno volti al miglioramento della diagnosi attraverso l'identificazione di nuovi geni-malattia e allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, rivolte al trattamento dei difetti cardiaci che rappresentano la principale causa di morte durante la prima infanzia."

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