"ANCORA NEL 2012 ABBIAMO AUMENTATO L'OCCUPAZIONE MA SERVONO DECISIONI SU IVA, COSTI ENERGETICI,DEBITI DELLA PA, INFRASTRUTTURE E CREDITO BANCARIO. NON POSSIAMO PIÙ CONTINUARE A COMBATTERE DA SOLI"

Francesco Jori

Roma

Quel che si dice un battesimo del fuoco, per Maurizio Gardini, 53 anni, forlivese, da fine gennaio presidente di Confcooperative (20.500 imprese, 550 mila occupati, 3,6 milioni di soci, 62 miliardi di fatturato) in sostituzione di Luigi Marino, eletto in Parlamento con la lista Monti.

Meno di un mese dopo, l'esito delle urne si è rivelato una pesante ipoteca sulle risposte che il settore si attende dalla politica, visto che le richieste presentate alla vigilia del voto rischiano di rimanere senza un interlocutore.

«Mi auguro proprio di no. La cooperazione è un pezzo significativo dell'economia reale del Paese. E la nostra agenda per chi sarà chiamato a governarlo è estremamente concreta: possibilità di ricorrere al credito per investire; pagamenti in tempi equi da parte della pubblica amministrazione; esigenza di non venire soffocati da una burocrazia opprimente; un sistema-Paese che sia in competizione col resto dell'Occidente in ambiti strategici come le infrastrutture e l'energia; poter mettere più soldi in tasca ai lavoratori; non aumentare l'Iva per non deprimere ancor più i consumi. Se la politica restasse insensibile di fronte a temi come questi, vorrebbe dire che non ha capito il segnale arrivato dalle elezioni».

Parliamo in particolare dei pagamenti pubblici, magari con dei numeri.

«Imprese e cooperative vantano un credito di 20 miliardi con la PA, 6 dei quali ascrivibili alle cooperative sociali, che sono quelle patrimonialmente più fragili. A fronte di questo, le aziende devono indebitarsi per poter pagare gli stipendi; e le condizioni di accesso al credito sono sempre più onerose, fino a diventare drammatiche al sud, dove c'è uno scarto di duetre punti rispetto al nord».

Rispetto al quadro generale dell'economia, quali sono i punti critici del sistema della cooperazione?

«Anche l'ultimo rapporto Censis segnala che la cooperazione ha saputo reggere meglio. Siamo riusciti non solo a difendere ma a incrementare l'occupazione, a costo di sacrificare gli utili: più 8% tra il 2007 e il 2011, più 2,8% nel 2012. Ma non siamo dei maghi: la crisi ha cominciato a mordere anche noi, con la chiusura di alcune realtà cooperative. Da soli non possiamo farcela».

E quindi cosa vi aspettate da fuori, in particolare dalla politica?

«Intanto di non ritoccare l'Iva, come ho già detto, perché è indispensabile per far ripartire i consumi. Poi rilanciare l'export con i crediti d'imposta, perché esportare rappresenta per noi la vera misura anticrisi. Infine, incentivare il credito e rafforzare il sistema dei Confidi».

Le banche, quindi: un rapporto sempre più conflittuale?

«Il denaro costa oggettivamente caro, spesso non c'è o ce n'è meno di quanto sarebbe necessario. Le aziende hanno idee, ma non hanno risorse per finanziare gli investimenti che servono per svilupparle. Senza credito è impossibile ripartire. Per quanto ci riguarda, siamo disponibili a confrontarci con il sistema bancario per individuare le migliori soluzioni che incrocino bisogni ed esigenze sia delle banche che delle imprese».

Che ruolo gioca in questo il credito cooperativo?

«Abbiamo la fortuna di avere un rapporto privilegiato con il sistema del credito cooperativo, che ha pagato a sua volta un prezzo pesante per sostenere l'economia dopo il 2008, quando altri istituti bancari non erogavano più credito. Oggi è indispensabile affrontare il tema generale. La Bce ha svolto una strategica azione di sostegno nei confronti delle banche: senza di essa, i loro bilanci 2012 sarebbero stati disastrosi. Ora occorre una svolta: è vero che senza le banche non si finanzia l'economia, ma è altrettanto vero che non si può pensare di salvare le banche da sole, bisogna salvare l'intera economia».

Lei viene dall'agroalimentare, ed è stato pure presidente di Fedagri, l'associazione delle coop agricole: la sua nomina al vertice di Confcooperative è anche un riconoscimento al settore?

«Sicuramente sì. E' un settore che contribuisce con 25 miliardi al fatturato complessivo di 60 di Confcooperative. Vorrei aggiungere che è anche un riconoscimento alla cooperazione emiliano- romagnola, che ha sempre espresso dirigenti e aziende di eccellenza. Ma c'è anche una valutazione di prospettiva. L'agroalimentare è un settore che ha molto da dare al Paese, perché è in grado di sostenere il ritorno allo sviluppo con minori investimenti; non è subordinato ad altri Paesi per il reperimento delle materie prime; è caratterizzato da un'elevata qualità; è molto richiesto dall'estero. Insomma, con limitate risorse può alimentare un notevole sviluppo».

Quali saranno i primi passi della sua presidenza?

«Ho preso il mandato in corsa, dunque per prima cosa si tratta di attuare le linee-guida esistenti. Già un anno fa la nostra assemblea si era data l'obiettivo di convocare una Conferenza organizzativa per dare risposte sempre più concrete alle imprese. Questo appuntamento si terrà il 9 e 10 aprile: in quella sede disegneremo la nuova Confcooperative del futuro. Poi, c'è da proseguire il percorso che ci ha portato a dar vita all'Alleanza delle Cooperative: il traguardo finale è arrivare all'unità organica delle realtà che vi aderiscono. Il percorso rimane lungo, ma qualche segnale arriverà già nelle prossime settimane».

Quale sarà il volto della nuova Confcooperative?

«Le nostre radici valoriali resteranno immutate. Cambierà il modo di fare impresa in relazione ai nuovi scenari; e bisognerà mettere mano anche all'assetto organizzativo. La riorganizzazione della rappresentanza è un'esigenza che non riguarda solo la politica, ma la tutela degli interessi in genere».

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