Giuseppe Frangi
esperto di: impatto sociale dell'arte, storia dell'arte e comunicazione

La cultura in debito di ossigeno, si rifugia nel crowdfunding. In queste primo scorcio del 2013 siano stati testimoni di due esperienze che vanno in questa direzione, ma dalle caratteristiche molto diverse. La prima è una sottoscrizione lanciata dai musei civici torinesi per acquisire un prezioso servizio di porcellane (servizio da tè, da caffè e da cioccolata di 43 pezzi in porcellana di Meissen, nella foto)  e che viene a completare in modo filologicamente molto pertinente le raccolte.

Il sito del Museo di Palazzo Madama racconta dettagliatamente tutta la vicenda. In sintesi, il servizio era appartenuto a Pietro Roberto Taparelli, ministro italiano dell'elettore di Sassonia Augusto II: un servizio molto prezioso perché erano i primi riusciti tentativi di produrre oggetti in quella materia leggera, di cui i cinesi erano maestri. Tanto preziosa che Massimo d'Azeglio, che di Taparelli era discendente,  in un suo quadro dipinse una di quelle tazze. Pochi mesi fa un ricercatrice torinese rintracciò il servizio, che era stato messo in vendita dal collezionista inglese: di qui l'idea di acquisirlo per ricongiungerlo al quadro conservato a Palazzo Madama. Il costo non è proibitivo, 80mila euro. Di qui l'idea di farne un acquisto partecipato: si può contribuire anche versando due euro. La raccolta è quasi 60mila euro, e quindi l'obiettivo dovrebbe essere centrato. Ma c'è tempo sino al 31 marzo, perché dopo di allora il proprietario lo vende ad altri.

A gennaio era stata l'assessore alla cultura di Ladispoli, grande comune sul litorale romano, a lanciare la provocazione di una raccolta tramite crowdfunding per finanziare iniziative che i budget comunali non sono più in grado di sostenere. A diferenza di Torino, più che sull'obiettivo è stata posta l'attenzione sul significato del gesto. Tanto che dalle comunicazioni, per altro molto rilanciate dal web, non si capisce per cosa si dovrebbe chiedere soldi a cittadini e turisti. Sul sito del comune non c'è traccia dell'iniziativa. L'assessore ha parlato vagamente di un'iniziativa di street art, e dicendo di voler coinvolgere i cittadini non solo nella raccolta fondi ma nella messa a fuoco del progetto.

Siamo davanti a due modelli molto diversi. Nel primo si segue un modello più tradizionale, nel secondo si inseguono livelli partecipativi più alti. A sensazione il primo raggiungerà il risultato cercato, il secondo è a rischio di impaludarsi in meccanismi troppo spezzettati.

Il modello torinese è quello che da anni una grande istituzione come il Louvre persegue, sempre con successo (si chiama Tous Mecenés e lancia almeno una chiamata all'anno per l'acquisizione di un'opera: da poco si è conclusa con successo la raccolta, di 700mila euro per due piccoli avori medievali che venivano a completare un gruppo con la Deposizione dalla Croce). Il web viene usato come strumento senza avere la pretesa di farsi cambiare il dna dalle sue logiche. Ma il risultato partecipativo è indiscutibile. E il senso di appartenenza che determina è di per sé un valore su cui il museo potrà investire anche nel futuro.

Sull'altro fronte, la mitizzazione dello strumento slegandolo dall'obiettivo mi sembra un'operazione maldestra, che crea più emotività che partecipazione.

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