di Cristiana Guccinelli
Le donne migranti arrivano in Italia spinte da esigenze diverse: lavoro, ricongiungimento familiare, emancipazione culturale e oggi rappresentano la maggioranza della popolazione straniera in Italia.
Un dato che gli studiosi considerano indicatore di radicamento sul territorio in quanto l'equilibrio della distribuzione dei generi indica una fase matura dei fenomeni migratori nonché una condizione che apre a bisogni di cittadinanza più complessi.
Secondo Carlo Colloca, curatore di "Città e migranti in Toscana. L'impegno del volontariato e dei governi locali per i diritti di cittadinanza" volume pubblicato recentemente da Cesvot, "la femminilizzazione dei flussi migratori e, in particolar modo, la diffusione di ricongiungimenti familiari declinati sempre di più ?al femminile', contribuiscono a scardinare il modello sociale italiano strutturato sulla base del binomio concettuale male breadwinner/female caregiver, caratteristico delle prime migrazioni verso il continente europeo. Si evidenzia così un passaggio al female breadwinner che vede le donne immigrate come pioniere del progetto migratorio, con inevitabili conseguenze per ciò che concerne la riconfigurazione dei rapporti parentali e di coppia in seno alle famiglie migranti".
Dai dati della Fondazione Nilde Iotti scopriamo inoltre che la grande maggioranza delle associazioni di donne migranti è di tipo multietnico a differenza di quelle composte prevalentemente da uomini. Un fatto che ci permette di ipotizzare quanto la presenza femminile sia maggiormente orientata all'incontro, allo scambio, alla mediazione fra culture diverse.
Ovviamente sono enormi le difficoltà che le donne straniere incontrano durante il processo di inclusione sociale, soprattutto quando vanno a saldarsi le difficoltà legate ai diritti di genere con quelle legate ai diritti umani: problemi di isolamento, di apprendimento della lingua italiana, di accesso al mondo del lavoro e dei servizi.