Antonio Tricarico

Eppur si muove, come direbbe Galileo Galilei. Negli ultimi giorni, il Parlamento europeo ha assestato qualche colpo importante nell'ambito dello scontro impari tra lobby finanziarie e decisori politici nella definizione di nuove regole per i mercati finanziari in Europa, regole che si auspica non ripetano le follie e le innovazioni sui generis che ci hanno portato alla crisi del 2007-2009.

Ad inizio febbraio, le lobby avevano preparato un agguato per introdurre un'ampia eccezione alla regolamentazione sull'infrastruttura dei mercati finanziari - nota con l'acronimo Emir - che avrebbe permesso alle grandi società di continuare a commerciare senza vincoli per aumentare i propri profitti finanziari in derivati "over-the-counter". Ovvero quei prodotti non regolati in borse o stanze di compensazione. Un'attività che tante multinazionali praticano per arrotondare gli introiti, se si pensa che nel 2007 negli Usa più del 40% dei profitti di impresa erano di natura puramente finanziaria. Una mossa del genere avrebbe annacquato le regole attuative che la nuova agenzia europea per i titoli e i mercati finanziari - Esma - sta faticosamente scrivendo. Ma uno scontro dell'ultim'ora ha portato i proponenti a ritirare il voto sugli emendamenti in plenaria, di fatto rafforzando la posizione molto dura che il Parlamento era riuscito ad approvare e tenere nell'estenuante negoziato sul testo legislativo con il Consiglio europeo.

Le forze parlamentari critiche dello strapotere dei mercati finanziari, forti di questa vittoria, hanno subito incalzato. A sorpresa durante la discussione dell'altro testo legislativo, che recepisce nella normativa europea l'Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali delle banche, si sono impuntate e hanno approvato la richiesta obbligatoria per gli istituti di credito di presentare bilanci scorporati "paese per paese". Quello che in inglese si chiama country by country reporting, mostrerebbe come i gruppi bancari eludono la tassazione fiscale spostando i profitti in giurisdizioni segrete e paradisi fiscali. Ad oggi sia gli istituti di credito globali che le grandi imprese multinazionali presentano soltanto bilanci consolidati, che permettono di capire ben poco su dove i profitti sono prodotti e tassati. La Commissione europea si è schierata a favore della proposta, mentre molti dei paesi membri annunciano grosse resistenze nel Consiglio europeo.

Nel frattempo il Parlamento affonda il coltello nella piaga e chiede tagli e un tetto massimo ai bonus dei banchieri. Una questione di giustizia e buon senso si direbbe, ma che a cinque anni dallo scoppio della crisi finanziaria non ha attecchito affatto nella cultura rapace del mondo finanziario. Difficile prevedere come andrà finire e se ancora una volta le lobby la spunteranno, tenendo sotto scacco i governi di mezza Europa. Ma in ogni caso questa resistenza istituzionale, che lentamente sta montando al Parlamento europeo, dovrebbe essere di insegnamento per il nuovo Parlamento italiano per cui oggi si vota, perché quanto meno opporsi alla dittatura dei mercati finanziari si può. Anzi, si deve.

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