Il Primo Marzo, in diverse città, sarà proiettato il documentario La legge è uguale per tutti che raccoglie tre testimonianze-denunce contro il razzismo istituzionale.
Kindi ha fatto tutti gli studi in Italia e si è laureata in medicina, ma si vede negare l'accesso alla scuola di specializzazione. Vanessa e Said stanno per pronunciare il fatidico "Sì", ma lui viene prelevato e condotto nel Cie di Bologna prima di poterlo fare. Andrea e Senad, giovani fratelli nati e cresciuti in Italia ma formalmente (e incredibilmente) apolidi, vengono rinchiusi nel Cie di Modena. La legge non è uguale per tutti (visualizzabile in basso), documentario on line prodotto dalla Rete Primo Marzo/Associazione Giù le frontiere, dà conto di queste vicende. Tre storie diverse, ma con un denominatore comune: il razzismo istituzionale e le sue conseguenze su chi non è cittadino italiano. Pochi giorni prima della quarta Giornata senza di noi, ne parliamo con il regista, Dante Farricella.
Kindi, Vanessa e Said, Andrea e Senad: cosa ci raccontano queste storie?
«Ci raccontano di migranti, di persone nate in Italia ma prive della cittadinanza, che sono riuscite a superare, grazie all'impegno della società civile o della magistratura, le barriere create contro di loro dalle istituzioni. Quando si parla di razzismo si pensa spesso ad una persona o una comunità che dice o fa cose razziste. C'è invece anche un razzismo di sistema, che si sviluppa in norme, leggi o regolamenti iniqui. È questo il filo conduttore di queste storie».
I protagonisti, diversissimi tra loro, sono accomunati dal medesimo fattore di vulnerabilità.
«Sì, se avessero avuto la cittadinanza non avrebbero mai vissuto queste non belle vicende. Quando ci si ritrova di fronte al razzismo istituzionale, anche le storie meno "tragiche", come può essere quella di Kindi, in realtà sono molto pesanti. Lei è arrivata in Italia da giovane, ha frequentato qui le scuole, tutti i suoi titoli di studio sono italiani. Poi, quando sta per iscriversi alla specialistica, si accorge di un ostacolo: senza cittadinanza, l'accesso le è negato. Una cosa gravissima».
Perché è importante, adesso, rilanciare la questione della cittadinanza?
«Viviamo, ci piaccia o no, in un mondo sempre più aperto e multietnico, dove le frontiere diventano sempre più virtuali ed è impossibile tenerle chiuse. Del resto, una citazione storica dice: "L'Impero Romano cade nel momento in cui decide di chiudere le sue frontiere"».
Tenere chiuse le frontiere è un segno della nostra decadenza?
«Fin quando l'Impero Romano aveva la forza propulsiva di integrare i suoi cittadini, di dar loro la cittadinanza latina, Roma va avanti e si espande. Quando questa forza si esaurisce e Roma si chiude su se stessa, cade vittima dei barbari. In un mondo che diventa sempre più globalizzato, dobbiamo cominciare a ragionare nel senso di integrare le differenze e non separarle. Chiediamo ai migranti di osservare una serie di doveri quando non garantiamo loro nessun diritto».
Con quale spirito avete prodotto questo documentario? Cosa vorreste farne?
«Lo abbiamo fatto per offrire uno strumento di riflessione a chi voglia confrontarsi con i temi della migrazione e quindi dell'integrazione all'interno delle società nazionali. Al di là del Primo Marzo, ci piacerebbe che venisse proiettato, in primis, nelle scuole, che è laddove si formano i nuovi cittadini, nuovi sia per età che per provenienza».
Luigi Riccio