Luciano Balbo
Presidente e fondatore di Oltre Venture
Il tema dell'innovazione, principalmente legata alle nuove tecnologie, e degli start up come strumento per promuoverla, è giustamente al centro del dibattito per favorire la crescita economica e il recente decreto legge per lo sviluppo ha messo gli start up al centro dell'attenzione, anche prevedendo incentivi fiscali.
Purtroppo non possiamo avere molte aspettative dal settore degli start up tecnologici a causa della mancanza, in tutta Europa e non solo in Italia, di un efficace mercato del venture capital che costituisce il motore essenziale per questo settore. Troppo poca attenzione viene invece data all'innovazione sociale, che al contrario sta suscitando sempre maggiore interesse all'estero e che recentemente l'Unione Europea ha promosso con la 'Social Business Initiative'.
L'offerta sociale è quella che coinvolge il settore sanitario, l'istruzione, i servizi alla persona e più in generale il welfare ed è largamente presidiata dallo Stato. A causa dei problemi che gli Stati stanno affrontando, ed il nostro più di altri, il dibattito si incentra sulle modalità di risposta a queste difficoltà dei budget pubblici, a fronte di una crescita dei bisogni sociali (ad esempio per: asili, sanità e anziani). Le proposte prevalenti parlano di integrazione privata allo Stato, menzionando, in modo variegato e spesso confuso, non profit, welfare aziendale e soprattutto assicurazioni. In realtà nessuno di questi attori può sostituirsi allo Stato, facendosi carico dei servizi che verranno eventualmente tagliati, in quanto nessuno di questi ha le dimensioni per porsi, se non marginalmente, come fonte alternativa di risorse.
A fronte di una diminuzione della spesa pubblica, l'unico sostitutivo è la spesa diretta (out of pocket) dei cittadini che dovranno comprarsi privatamente quei servizi, oppure sostituirli ricorrendo al sostegno famigliare. Le assicurazioni possono tutt'al più organizzare questa spesa privata per ridurre i rischi maggiori, e di fatto integrare l'offerta pubblica (che è già un sistema assicurativo) organizzando meglio la spesa privata.
Non c'è quindi un terzo pagatore che possa sostituirsi allo Stato ed ai cittadini, e pertanto ciò che davvero serve per dare una risposta ai problemi attuali è il ricorso a dosi massicce di innovazione sociale, intesa come elaborazione di nuovi modelli che migliorino l'efficacia e l'efficienza dell'offerta di servizi sociali, sia pubblici sia privati, minimizzando le spese sociali a carico dei cittadini senza peggiorarne la qualità. L'offerta di servizi sociali non subisce un processo di innovazione da molti decenni e vi è uno spazio di miglioramento molto importante per dare una risposta alle presenti difficoltà.
La conferma che questa sia la strada giusta viene dal recente studio dell'Ocse ("Is the European Welfare State Really More Expensive?") che mostra come, nei paesi sviluppati, l'incidenza sul Pil della spesa sociale totale (cioè - si noti bene - la somma della spesa pubblica e privata) sia assai simile. Ciò che cambia è la composizione di tale spesa che nei paesi anglosassoni vede una minore incidenza di quella pubblica mentre, all'estremo opposto, nei paesi Nord Europei questa pesa per una quota maggiore.
Purtroppo nel dibattito si fa solo notare la diversa incidenza della spesa pubblica dimenticandosi di quella privata. Quindi il costo totale della spesa sociale per i cittadini è la medesima in tutti i paesi, ma non è uguale la qualità e la copertura dei servizi ricevuti. Si conferma pertanto che l'attenzione deve essere posta sui modelli erogativi, sulla loro efficacia ed efficienza e sul sostegno all'innovazione per migliorare entrambe. Le forme integrative di tipo assicurativo, di cui tanto si parla, non servono a molto se si basano su modelli erogativi costosi o inefficienti perché renderanno il costo dell'integrazione molto alto per i cittadini, come dimostra la sanità americana.
Il vero ostacolo all'adozione di modelli di innovazione sociale sta nella refrattarietà al cambiamento del sistema vigente. Le grandi difficoltà incontrate da Cameron e da Obama nella riforma del sistema sanitario nazionale ne sono una riprova: i sistemi pubblici sono difficilmente riformabili "dall'alto" per la resistenza operata da molteplici insiemi di interessi consolidati e degli stessi cittadini. È prioritario pertanto che l'innovazione sociale, inclusa quella pubblica, parta dalla sperimentazione di singole esperienze, nonché da una rigorosa misura dei loro risultati.
Gli attuali operatori privati (profit e non profit) nel settore sociale stentano ad agire quali enti innovatori. Tali attori infatti operano prevalentemente in forma di outsourcing del settore pubblico. Agiscono in mercati garantiti e secondo modelli erogativi uguali a quelli pubblici. Sono spesso più efficienti ma non innovano e il modello di outsourcing non li incentiva a farlo, ma solo a ricercare efficienza, principalmente per i loro conti economici.
E qui si inserisce il ruolo degli start up sociali con l'obiettivo di promuovere nuovi modelli di offerta per riempire le aree lasciate libere sia dal Mercato che dallo Stato e di trovare soluzioni nuove e più efficaci che servano anche e a coinvolgere il settore pubblico e promuovere un grande miglioramento dell'intero nostro Welfare. E' solo a partire da esempi positivi e di successo che le resistenze in essere potranno essere superate, e in questo senso il ruolo delle start up sociali può essere importante per sviluppare l'innovazione sociale passando da un rapporto pubblico/privato di sussidiarietà, ad uno di partnership.
Per promuovere questo cambiamento sta nascendo un movimento di opinione e di esperienze concrete che viene chiamato Impact Investing. Esattamente come il venture capital che ha così ben promosso le start up tecnologiche nella seconda metà del secolo scorso, l'Impact Investing ha un obiettivo ambizioso: fare leva sull'enorme ricchezza privata, ad oggi disponibile nei paesi avanzati, per attivare nuove forme di investimento che promuovano, non solo finanziariamente ma anche operativamente, gli start up sociali accettando un contenuto ritorno finanziario in cambio dell'importante impatto sociale che diventa un valore economico per l'intera collettività.
Le società del mondo avanzato infatti, pur in crisi, hanno immense risorse finanziarie private, competenze e imprenditorialità: è arrivato il momento che queste vengano canalizzate anche verso l'innovazione sociale, perché da essa dipenderà il futuro del mondo sviluppato. L'attuale crisi ha evidenziato che i ritorni finanziari elevati del passato erano stati alimentati dall'effetto "droga" della leva finanziaria e della bolla speculativa dei valori mobiliari e immobiliari. Investire, senza l'illusione di alti ritorni finanziari, una parte della ricchezza privata per sviluppare, anche insieme al settore pubblico, soluzioni di interesse collettivo non è solo un atto di solidarietà, ma anche un'operazione di auto-interesse: un cambio di visione necessario proprio per mantenere le condizioni economiche e sociali che sono alla base della preservazione della stessa ricchezza privata.
I nostri problemi hanno bisogno di coraggio pubblico e privato. Quello pubblico passa attraverso un profondo ripensamento della stessa struttura erogativa pubblica e la promozione di legislazioni che promuovano gli start up sociali e le partnership pubblico/privato. Quello privato richiede una forte Responsabilità Sociale della Ricchezza che deve anche essere investita nel progresso delle società in cui tutti viviamo e da cui questa ricchezza privata abbiamo tratto.