Il lavoro come speranza, la Palestina come terra di lavoro e speranza: è con questo motto che nasce Work for Hope (www.workforhope.org), il sito che racconta l'aiuto umanitario di COOPI - Cooperazione internazionale (www.coopi.org) ed ECHO, l'Ufficio per gli Aiuti umanitari e la Protezione civile della Commissione Europea (http://ec.europa.eu/echo/index_en.htm). A loro si sono uniti anche l'agenzia fotografica ParalleloZero - che documenta le condizioni di vita degli abitanti della Palestina, raccontando con immagini e video i progetti e i piccoli, grandi successi di ogni giorno - e lo studio pensoblu, demade, mine e Mattia Reali - i multimedia partners che hanno creduto subito nel progetto dal grande valore etico, realizzando gratuitamente il sito.
Come ridare la speranza a persone che da decenni vivono nella povertà e nella paura? Con il lavoro: COOPI infatti, tramite i progetti di "cash for work" finanziati da ECHO, crea impieghi temporanei e opportunità di lavoro per i capifamiglia e aiuta così a migliorare concretamente la vita delle comunità più vulnerabili.
Le condizioni di vita in Palestina e nei territori occupati non fanno quasi mai notizia: se ne parla in occasione delle azioni militari portate avanti da Israele, ma è nel quotidiano che la popolazione continua a soffrire. Le comunità insediate a Gaza o nell'Area C, a totale controllo israeliano, devono fare i conti con barriere fisiche, come il Muro, i checkpoint e i posti di blocco, che limitano o annullano del tutto la possibilità di muoversi, così come le restrizioni per l'accesso ad aree controllate dove si entra solo con pass e permessi.
Non potersi muovere significa bloccare l'economia, fermare l'occupazione e limitare l'accesso ai beni di prima necessità come la sanità. Non solo: in Cisgiordania, dove il 60% del territorio è compreso nell'Area C, ci sono limitazioni e divieti per l'accesso alla terra e all'acqua, che ostacolano l'agricoltura e la pastorizia. Per l'insediamento dei 500mila coloni israeliani, ci sono state e continuano a esserci anche oggi demolizioni e sfratti ai danni dei palestinesi che vivono in spazi sempre più ridotti, in condizioni igienico-sanitarie al limite.
Il progetto "cash for work" vuole rispondere alle necessità di tutti i giorni della popolazione palestinese: avere accesso all'acqua, potersi muovere senza pericoli, sistemare le strade e i collegamenti, ristrutturare edifici pubblici, raccogliere la spazzatura. Sono solo alcuni esempi delle attività portate avanti fin dal 2002.
I soldi vengono dati ai capifamiglia come compenso per "lavori di pubblica utilità", stabiliti da COOPI assieme alle singole comunità, sulla base delle problematiche maggiori: per esempio, là dove l'acqua costa quasi 15 euro al metro cubo, come nel villaggio di Khirbet Al-Twayel, nella campagna palestinese, circondato da strade non asfaltate, la riabilitazione di cisterne per la raccolta dell'acqua a cui ha partecipato il pastore Basim Saleem Bani Jaber, ha permesso alla sua comunità di avere accesso all'acqua senza più doversi sobbarcare viaggi estenuanti di ore.
Nel villaggio di Khirbet Tana, nell'area C, sono vietate nuove costruzioni: per questo sono state recuperate grotte naturali dove la popolazione si è rifugiata dopo gli sfratti e le demolizioni. A Gaza ci sono oltre 1,6 milioni di persone che vivono in 140 kmq dove manca la possibilità di raccogliere e smaltire i rifiuti: ad Al Barahmah, piccolo quartiere del più vasto campo profughi di Tall as-Sultan, nella zona di Rafah, per esempio, Adel Hassan Zorb ha ricevuto i soldi per raccogliere la spazzatura dalle strade con un carretto trainato da asini. Non sono migliorate solo le condizioni del quartiere, ma Adel ha avuto la possibilità di mandare i suoi figli più grandi a scuola.
Ad Al Giftlik, un altro villaggio sotto il totale controllo israeliano, ECHO ha stanziato i fondi per la costruzione di un edificio a disposizione della popolazione: si dà lavoro alle persone e si crea un luogo dove chi rimane senza casa per demolizioni o sfratti, potrà essere ricoverato. Nel villaggio di Bayt Lahiya, situato nella Striscia di Gaza, il progetto ha permesso alle Community-Based Organization di monitorare e studiare la situazione delle donne, quasi tutte senza istruzione e occupate nei campi senza retribuzione: si è ristrutturato il Leading Women Center dove ospitare le donne e tenere corsi su come organizzare piccoli business o su come comportarsi riguardo problemi che toccano la sanità, l'educazione dei figli o la violenza familiare.
Piccoli, grandi gesti che hanno dato speranza alla popolazione civile, usando i soldi per creare lavoro a vantaggio non del singolo ma della comunità: dove non c'è libertà di movimento, cibo, casa, acqua e istruzione non c'è vita, ma con il lavoro c'è almeno la speranza.