by Davide Vassallo
Negli ultimi mesi mi accade spesso di ragionare sui temi della collaborazione tra cooperative sociali e della concorrenza/competizione tra le stesse.
Forse perché lavoro in un Consorzio di cooperative sociali che, guarda caso, proprio in questo periodo si interroga sul proprio essere e sul proprio esistere.
O forse perché, almeno nella mia provincia, capita sempre più spesso che l'Ente Pubblico metta in discussione Convenzioni con cooperative sociali attive da diversi anni, non sulla base di un deficit di qualità del servizio e della relativa, legittima, insoddisfazione, ma in nome del principio della libera concorrenza.
Gli Enti pubblici individuano nella Concorrenza e Competizione in procedure di evidenza pubbliche (appalti, procedure negoziate?) gli strumenti per raggiungere i principi di trasparenza, imparzialità, pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento e proporzionalità previsti dalle normative europee per gli affidamenti dei servizi (si veda anche la recente Determinazione della AVCP Autorità per la Vigilanza dei Contratti Pubblici "Linee guida per gli affidamenti alle cooperative sociali ai sensi dell'art. 5 l.381/91").
Ho l'impressione che gli uni (gli Enti Pubblici) abbiano la tendenza a considerare acriticamente come positivi i meccanismi concorrenziali e le altre (le Cooperative) utilizzino in modo strumentale e autogiustificante il sesto principio dell'Alleanza Cooperativa Internazionale: Cooperazione tra cooperative; Le cooperative servono i propri soci nel modo più efficiente e rafforzano il movimento cooperativo lavorando insieme (www.ica.coop ).
Non sono soddisfatto.
Cerco una sintesi tra i due aspetti e ho il sospetto che ciò mi gioverebbe anche nell'essere in grado di proporre qualche significato in più alle cooperative che partecipano alla vita del mio Consorzio.
Interrogo l'Enciclopedia Treccani (www.treccani.it/vocabolario ), forse la radice etimologica dei termini mi può essere di qualche utilità.
Cooperare: dal latino tardo cooperari, composto di co- e operari «operare»] (io coòpero, ecc.; aus. avere). - Operare insieme con altri, contribuire con l'opera propria al conseguimento di un fine: cooperare al buon esito di un'impresa;
Sembra essenziale l'esistenza di un impresa comune, all'interno della quale e per il successo della quale lavorare insieme.
Se non lavoriamo insieme ad un progetto (imprenditoriale e culturale al tempo stesso) non si può parlare di cooperazione tra cooperative: la semplice regolazione della concorrenza (non pestiamoci i piedi nelle nostre rispettive zone) non è cooperazione.
Questo forse aiuta a fare una certa chiarezza.
Eppure una certa attenzione a mantenere rapporti sereni, e non competere se non strettamente necessario, non è da considerarsi buona norma in quanto propedeutico a future, ipotetiche, collaborazioni?
E che ruolo gioca, invece, la paura? Nella mondo della Cooperazione, come strategia commerciale, domina la paura di "svegliare il can che dorme" e ritrovarsi delle cooperative sociali competitor nel proprio territorio a seguito di una propria sortita sconsiderata e "scandalosa" in contesti altrui?
Competere: dal latino competere, composto di con- e petere «chiedere, dirigersi», propr. «andare, chiedere insieme» - 1. Gareggiare, concorrere in rivalità con altri, lottare per riuscir superiore
Concorrere: dal latino concurrere «correre insieme, azzuffarsi, gareggiare», composto di con- e currere «correre»] (coniug. come correre; aus. avere). - 1. a. letter. Andare tutti insieme a un medesimo luogo, affluire
Delle etimologie dei termini "competizione" e "concorrenza" mi colpiscono gli aspetti impliciti nel prefisso (con-), ossia gli aspetti che evidenziano come tutti i soggetti convergano verso uno stesso fine e uno stesso luogo.
Provo a trasportare il discorso nel mondo della cooperazione sociale: quale può essere il fine cui tendiamo tutti, in cui tutti teoricamente ci riconosciamo?
Tutti vogliamo che in un territorio il servizio socio-sanitario-assistenziale sia realizzato nel modo migliore possibile (nel caso delle cooperative sociali di tipo A) e che si amplino le possibilità complessive di inserimento lavorativo (nel caso delle cooperative sociali di tipo B).
Da questo punto di vista una concorrenza e una competizione sana fanno solo bene al mondo della cooperazione (e al Terzo Settore in generale): l'attenzione si sposta sulle battaglie da combattere per ottenere procedure concorrenziali che veramente salvaguardino i principi di qualità del servizio, di attenzione al lavoratore, di possibilità di inserimento lavorativo per persone particolarmente svantaggiate, di corretta rendicontazione pubblica del lavoro del "vincitore" rispetto alla cittadinanza di riferimento.
Eppure anche questo non mi convince fino in fondo: è una lotta che premia davvero il migliore o solo la realtà più solida?
Porta all'inevitabile decesso della cooperativa che non riesce a raggiungere standard di qualità che, per quanto possano magari essere co-costruiti, potrebbero essere troppo alti, per esempio, per una cooperativa di nuova costituzione?
Mi sembra una ri-edizione del Darwinismo sociale. Edulcorato, certo, un Darwinismo che premia non chi fa più profitto ma chi produce da più tempo?però sempre Darwinismo?
Forse un ruolo potrebbero avercelo i Consorzi: come soggetti di garanzia, soggetti che possono favorire reti e collaborazioni tra le cooperative giovani e fragili e quelle già affermate, in una logica di tutoraggio e collaborazione.
Non riesco a trovare la sintesi che mi ero ripromesso: tra collaborazione e competizione mi pare vi sia una logica a spirale, in cui i due aspetti siano collegati e, del tutto inaspettatamente, si richiamino vicendevolmente integrandosi e contraddicendosi, in una intricata matassa difficile da dipanare?