IN VISITA A SAN VITTORE

Dietro le sbarre lo Stato italiano non rispetta la Costituzione perché tollera  «condizioni insostenibili», spesso inumane. Sulla questione carceraria, «grave e urgente» specialmente dopo l'ultima condanna di pochi giorni fa della Corte europea dei diritti umani, si giocano «prestigio e onore dell'Italia».

A pochi mesi dal termine del settennato, il presidente Giorgio Napolitano ha scelto il vecchio carcere milanese di San Vittore per lanciare ieri un duro monito sul degrado in cui versano le prigioni, chiedendo al suo successore e a tutte le forze politiche di impegnarsi per cambiare una situazione «grave e inaccettabile». Nel suo discorso ha messo sotto i riflettori un mondo buio e dimenticato dalla società, denunciando il sovraffollamento, la violenza, i suicidi, la mancanza di lavoro e di occasioni di formazione, insomma il fallimento di un sistema che, isolato, non riesce ad assolvere al compito assegnatogli dalla Carta, recuperare con la pena la persona condannata.

È stata la prima visita di un Capo dello Stato alla vecchia casa circondariale milanese, simbolo con 1600 detenuti (al 63% immigrati) a fronte di 900 posti dei problemi di capienza nazionali. Un divario tra capienza e numero di reclusi che su scala nazionale tocca 20 mila posti e che per Napolitano è «intollerabilmente elevato».

Dalla Rotonda del "due" - come veniva chiamata dalla vecchia mala meneghina la prigione il cui ingresso è al civico due di piazza Filangieri - dopo aver ascoltato attentamente il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino segnalare la lieve inversione di tendenza dell'anno passato con l'aumento di 3000 posti, quindi la direttrice del carcere milanese Gloria Manzelli denunciare le tante detenzioni causate da problemi sociali e dopo essersi commosso durante la testimonianza di due detenuti, che hanno sottolineato la lontananza degli affetti in prigione e chiesto un intervento politico, l'inquilino del Quirinale ha preso la parola. Ha premesso di non voler interferire sulle strade da scegliere in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria, poi ha anche ricordato come abbia colto ogni occasione «per denunciare l'insostenibilità della condizione delle carceri e di chi vi è rinchiuso». Aggiungendo con un pizzico di polemica: «Avrei auspicato che quegli appelli fossero stati accolti in maniera maggiore».

Dopo la condanna «mortificante per l'Italia» dalla Corte di Strasburgo ha scelto di levare la voce con parole destinate a scuotere: «Il sovraffollamento, le condizioni di vita degradanti, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - la mancata attuazione dunque delle regole penitenziarie europee confermano la perdurante incapacità dello Stato italiano di realizzare un sistema rispettoso dell'articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità». In particolare si è soffermato sulla sofferenza delle detenute madri e straniere.

Per il capo dello Stato  è in gioco qui «una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto». Ma sul sistema carcerario, ha aggiunto, «sono in gioco, debbo dire nella mia responsabilità di presidente della Repubblica, il prestigio e l'onore dell'Italia».

Pur dando atto dell'impegno dell'amministrazione penitenziaria, degli agenti di custodia, dei volontari e del terzo settore («il cui ruolo merita di essere valorizzato») ha chiesto maggiore apertura del carcere «al lavoro e ai rapporti quotidiani con la comunità esterna» per consentire al condannato di «raggiungere una coscienza di sé e generare la spinta morale verso l'inclusione». Questa per Napolitano è l'autentica opportunità di recupero sociale da offrire. Per raggiungere lo scopo, ha sottolineato, occorre coinvolgere famiglia, scuola, istituzioni religiose, mondo del lavoro. A imprenditori e cooperative sociali ha chiesto uno sforzo per supportare formazione, orientamento e inserimento lavorativo. Infine ha lanciato un appello al mondo politico perché risolva la questione: «Nessun partito vorrà anche in questo momento negare la gravità e l'urgenza dell'attuale realtà carceraria nel nostro Paese».

Dopo l'incontro con i detenuti del sesto raggio, il più affollato, uscito dal "due" Napolitano ha parlato di amnistia in un fuori programma con i radicali: «Se mi fosse toccato mettere una firma lo avrei fatto non una, ma dieci volte. Occorre un voto del Parlamento e oggi non ci sono le condizioni politiche». Quindi ha concluso speranzoso: «Quando faccio un appello, è come se mandassi un messaggio in bottiglia, non so dove arriverà».

Paolo Lambruschi

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