Mario Piccirillo

Sono stranieri, sono nati e cresciuti in Italia, ma non possono diventare italiani. Perché sono Down. E i Down non giurano, non ne hanno facoltà. Migliaia di ragazzi stranieri con disabilità mentale arrivano o arriveranno al traguardo dei 18 anni e non potranno diventare italiani, perché la legge si ingolfa.

Sono stranieri, sono nati e cresciuti in Italia, ma non possono diventare italiani. Perché sono Down. E i Down non giurano, non ne hanno facoltà: le persone affette dalla Trisomia 21 per la legge italiana non sono capaci di intendere e di volere. E così quando è diventato maggiorenne Andrea, di origine albanese, figlio di immigrati regolari residenti nel nostro Paese da molti anni, s'è visto respingere la richiesta di cittadinanza, pur avendo tutti requisiti. Tutti tranne uno.

Questa è la storia di Andrea, e di Valon, e di José. Nomi fittizi per casi che ogni tanto spuntano dalla nebbia dell'indifferenza grazie ad associazioni come Stranieriinitalia, Aipd e Ledha, e che reclamano luce per tutti gli altri. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili gli immigrati regolari nel 2010 erano 4,5 milioni, il 7,5% della popolazione. A questi vanno aggiunti gli immigrati clandestini stimati in 461 mila (dati del ministero del Lavoro). Nell'anno scolastico 2009-2010 gli alunni immigrati con disabilità erano 15.549, i disabili intellettivi stimati dal Ministero dell'Istruzione 10.573. Ecco di cosa parliamo: migliaia di ragazzi stranieri con disabilità mentale che arrivano o arriveranno al traguardo dei 18 anni e non potranno diventare italiani, perché la legge si ingolfa nelle sue contraddizioni.

Una legge in particolare, la legge n. 91 del 1992, dice che «il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato». Il problema è che per lo Stato la sindrome di Down rientra nei casi in cui non si ha «la piena consapevolezza» del proprio agire. La presunta incapacità di intendere e di volere rende lo straniero Down non idoneo ad ottenere la cittadinanza perché non può essere considerato capace di manifestare autonomamente il proprio desiderio di diventare cittadino italiano. Non solo. Poiché il diritto alla cittadinanza rientra tra i «diritti personalissimi» della persona, l'intenzione di acquisirla non essere essere espressa se non dal diretto interessato: nessuno può farlo per delega, al suo posto, nemmeno un tutore legale.

Una matassa ancora più difficile da districare se si considera che in molti casi le disabilità possono sommarsi, e con differente gravità. Il vuoto legislativo è palese, ed è ancora più grave perché l'Italia con la legge n. 18 del 2009 ha ratificato la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità che «obbliga gli Stati firmatari a riconoscere alle persone disabili la libertà di movimento, il diritto di scegliere la propria residenza e anche quello di cambiare cittadinanza». Un diritto, in questo caso, negato per una formalità: il giuramento.

«Sono negazioni molto gravi - dice Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell'Associazione Italiana Persone Down - . Tra le persone con Sindrome di Down c'è una grande variabilità, e negli ultimi anni abbiamo visto molte di loro andare a lavorare e crescere in autonomia. Crediamo che questo episodio cozzi con lo spirito di accoglienza verso i giovani stranieri auspicato di recente dallo stesso Presidente Napolitano e tanto più necessario nei confronti di persone in difficoltà».

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