Contributo di Monica Di Sisto, presidente di FairWatch
"Le politiche commerciali e di investimento create dai vecchi regimi devono essere riviste per essere messe al servizio di una visione di sviluppo, e non della concentrazione di potere nelle mani di pochi. Negoziati per qualunque nuovo accordo su commercio e investimenti non devono essere intrapresi prima dell'entrata in vigore delle nuove Costituzioni che nei paesi arabi testimoniano la transizione, e prima che siano definiti i modelli di sviluppo per questi paesi, con priorità ai diritti economici e sociali dei popoli". Il mittente sono le ong dell'area euro-mediterranea, in prima fila l'Arab Ngo Network. Il destinatario è la Commissione europea, che sta spingendo, sulle ali di una nuova politica di partenariato euro-mediterranea a sostegno delle richieste dei movimenti della Primavera araba, un ciclo di Deep and Comprehensive Free Trade Agreements (DCFTA) con Marocco, Giordania, Tunisia ed Egitto, che estenderebbero le correnti parziali aree di libero scambio riguardanti i prodotti agricoli e della pesca ereditate dalla vecchia Politica di prossimità, per includere servizi, appalti pubblici e un'armonizzazione regolatoria più ampia a partire dalla proprietà intellettuale e dai requisiti per i servizi. Chiaramente questo serve innanzitutto all'Europa per reggere la competizione statunitense in ripresa e cinese, aprendo nuovi mercati emergenti alle proprie imprese.
I benefici per le imprese ed i paesi partners sono tutti da dimostrare, a partire dai costi per l'adattamento ai meccanismi regolatori europei che ricadono tutti sulle loro spalle e li mettono in svantaggio rispetto alla concorrenza Ue, per finire con gli stretti legami tra appalti pubblici e modelli di sviluppo, ossia temi decisamente sensibili per la governance interna. Senza dimenticare che la società civile di quei Paesi già contesta le pressioni cui l'Europa sottopone i propri governi, forzandoli ad adottare un modello economico e di sviluppo dato, cosa che le primavere arabe di certo cercavano di superare.
Non esiste momento migliore per discutere di quale modello di convivenza e di condivisione delle risorse economiche, sociali e ambientali, in considerazione del fatto che dal 26 al 30 marzo prossimi proprio la Tunisia, protagonista dei nuovi negoziati, ospiterà il Forum Sociale Mondiale, il primo in un Paese arabo e, più in generale, il primo a porre il proprio baricentro nell'area Mediterranea. Come Fairwatch, nell'ambito della rete europea sulla giustizia nel commercio Seattle to Brussels, insieme a Cgil, Arci e Legambiente, nessuna occasione è migliore per rilanciare una riflessione comune a organizzazioni e sindacati della sponda Sud e Nord del Mediterraneo, nell'ambito del movimento altermondialista nel suo complesso, su come utilizzare il commercio non come volano di liberalizzazione a beneficio di pochi, ma come risorsa di ripresa e di transizione verso un modello di convivenza più giusto a livello sociale, economico e ambientale.
Come al solito le parole d'ordine utilizzate dalla Commissione europea per imporre gli accordi di liberalizzazione commerciale sono "pace, stabilità e prosperità condivisa nell'area euro-mediterranea". In realtà il succo è una progressiva espansione degli affari dei grandi gruppi europei a Sud, senza alcuna valutazione effettiva degli impatti sul tessuto economico, produttivo e commerciale locali provocati in aggiunta a quanto già in essere in base agli accordi di associazione preesistenti e protetto, prima della variegata Primavera araba, dai regimi sostenuti con determinazione dal nostro stesso Paese. La vecchia regola, contenuta anche nei documenti fondativi della Wto, secondo cui più "libero commercio=più sviluppo per tutti" sembra essere stata trasferita di peso nel contesto della primavera araba e ispirare, anche in alcune menti lucide, l'idea che si possano conciliare i DCFTA - cioè la politica estera e gli interessi commerciali dell'Europa - con valori fondativi come il rispetto per i diritti umani in una società libera e democratica. La democrazia, come sempre in passato, arriverebbe dunque sulle ali di un mercato "libero e giusto" tra Europa e sponda Sud.
"Per i popoli dei paesi arabi e per i gruppi di società civile attivi nella regione araba - rispondono alla Commissione le associazioni che saranno protagoniste al forum - le rivoluzioni continueranno fino a quando nuovi modelli sociali ed economici metteranno in priorità il diritto dei popoli allo sviluppo e alla giustizia. In questo contesto, i gruppi di società civile della regione araba hanno già altre volte sottolineato, mentre la situazione economica in paesi come l'Egitto e la Tunisia peggiora, che una transizione economica e di sviluppo di lungo termine necessita di una visione per ricostruire un modello sociale ed economico, non di ricostruire un modello disegnato dai vecchi regimi, che chiaramente non serviva ai diritti allo sviluppo e ai bisogni delle persone, e per effetto del quale la povertà, la disoccupazione e l'ingiustizia sono proseguiti e si sono approfonditi in tante aree". Ed è con questo spirito che, come organizzazioni continentali, dialogheremo con loro per rilanciare una stagione di mobilitazione e pressione nei confronti della politica, nazionale ed europea, che saremo chiamati molto presto a rinnovare.