Buone pratiche

A Udine la "questione rom" è stata affrontata senza allarmismi, sgomberi e battaglie mediatiche. E con molti successi. Un modello da replicare.

«Non esiste una "questione rom" nella nostra città». È perentoria Antonella Nonino, delegata per i rapporti con la comunità rom del Comune di Udine. E con queste parole, un po' inusuali sulla bocca di un assessore, si apre il convegno conclusivo di "Roma-Net", un progetto che ha raccolto dieci città europee impegnate nelle politiche di inclusione dei rom e dei sinti. «Non esiste nessuna emergenza», incalza la Nonino, «i rom abitano a Udine da quasi 70 anni. Non abbiamo bisogno di allarmismi, ma di politiche sociali intelligenti e inclusive».

Strani amministratori

Peraltro - sia detto tra parentesi - gli amministratori di questa piccola città dell'«operoso Nord Est» sono gente un po' strana. Il Sindaco, Furio Honsell, venne eletto nell'aprile 2008, in un periodo in cui i Comuni facevano a gara per sgomberare i "campi nomadi". Lui, appena insediato, annunciò di non aver nessuna intenzione di smantellare lo storico insediamento di via Monte Sei Busi. E, tanto per ribadire il concetto, in Estate si recò in visita ai rom: erano più di quindici anni che un primo cittadino non metteva piede al campo.

«Di sicuro non c'è nessuno sgombero forzato in vista» - spiegò Honsell agli attoniti giornalisti locali - «e ogni decisione dovrà essere condivisa con i rom».

Antonella Nonino più che un'assessore sembra un'operatrice sociale. Visita il campo almeno due volte alla settimana, conosce tutti i rom, ed è ospite fissa di matrimoni, feste e ricorrenze. «Prima di diventare consigliera delegata», ci spiega, «lavoravo a un centro stranieri, e seguivo da vicino le questioni rom. Per questo ho una consuetudine di rapporti con via Monte Sei Busi. Ma per noi si tratta anche di una questione di metodo: le scelte che riguardano quel campo devono essere costruite assieme a chi ci abita».

Un solo campo, cinquant'anni di storia

Seduta al tavolo di un ristorante, Antonella Nonino ci racconta la storia dei rom di Udine. Qui esiste un solo campo - quello di Via Monte Sei Busi, appunto - e i suoi abitanti sono tutti italiani. «Udine è una piccola città di provincia», ci spiega, «ed è abbastanza isolata: anche per questo, forse, non ha conosciuto rilevanti flussi migratori. Per quanto riguarda i rom, qui non abbiamo avuto né le migrazioni dalla ex-Jugoslavia né quelle dalla Romania». Insomma, i rom sono sempre i soliti da decenni. E Via Monte Sei Busi era, all'inizio, un campo profughi. «L'hanno costruito gli inglesi alla fine della Seconda Guerra Mondiale», ci spiega ancora Antonella Nonino, «per raccogliere le persone che prima erano internate a Gonars e a Visco. Poi, finita la guerra, ci sono finite le famiglie che erano rimaste senza casa per via dei bombardamenti, e i rom istriani arrivati qui a Udine. Alla fine sono rimasti solo i rom, e il campo profughi è diventato un campo nomadi».

I rom, però, erano "istriani" settant'anni fa: oggi sono tutti italiani nati in Italia. «Udinesi purosangue», precisa Antonella Nonino. Via Monte Sei Busi, tecnicamente, è un insediamento abusivo: molte baracche vi sono state costruite senza autorizzazione, e versano in precarie condizioni igienico-sanitarie. «Ma sgomberare un campo che esiste da decenni, senza proporre una sistemazione abitativa, sarebbe una follia», si accalora la Nonino.

Superare il campo, senza sgomberare

Così, a partire dal 2008, l'amministrazione ha varato un piano di graduale superamento del campo, basato su tre linee di intervento: inserimento delle famiglie in case popolari, accesso al mercato degli affitti, micro-aree. Quella delle case popolari può sembrare un'idea banale: eppure nessuno ci aveva pensato finora. «Si partiva dal presupposto che i rom fossero nomadi, quindi che non volessero vivere in alloggi veri e propri», spiega Antonella Nonino. Nel giro di pochi mesi, il Comune ha sguinzagliato assistenti sociali e operatori, e ha aiutato le famiglie del campo a fare domanda per entrare nelle graduatorie. «Ovviamente non abbiamo regalato nulla», tiene a precisare la consigliera, «i rom hanno fatto domanda e solo chi aveva i requisiti ha avuto la casa. Ma molti nuclei sono usciti dal campo in questo modo». Un altro gruppo è stato indirizzato al mercato degli affitti. In città, ci spiegano, i canoni sono proibitivi, ma basta andare nei paesi vicini per trovare alloggi dignitosi a prezzi accessibili.

Infine, le microaree. «Abbiamo individuato alcuni terreni edificabili», dice la Nonino, «perché in quelli agricoli la legge vieta qualunque insediamento di natura abitativa, anche sotto forma di tende o roulottes».

E in effetti, in diverse città italiane i rom sono sotto processo per "abuso edilizio", per aver allestito piccoli insediamenti proprio in aree a destinazione agricola. Qui a Udine quelli del Comune ci hanno pensato prima e, assieme ai residenti di Via Monte Sei Busi, hanno individuato terreni edificabili a basso prezzo: i rom li hanno comprati e li hanno adibiti a piccole aree di residenza. Nel giro di pochi anni, le presenze al campo sono più che dimezzate: «nel 2008 c'erano circa 110 persone, oggi sono appena 42». Così, con una spesa ridotta - prossima allo zero - si è avviato un percorso che porterà alla chiusura del campo.

Udine "città europea"

Tutto bene, dunque? «Niente affatto», spiega la Nonino, «i problemi restano: i rom sono spesso esclusi dal mercato del lavoro, molte famiglie vivono in condizioni di indigenza. Le cose da fare sono ancora tantissime?.».
Eppure, la strada seguita fin qui sembra aver dato buoni risultati: tanto che Udine è considerata una delle città "virtuose" del progetto "Roma-Net", che raccoglie varie città europee tra cui Budapest in Ungheria e Glasgow in Inghilterra.

Sergio Bontempelli

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