CIAI: Mobile Clinic di Mondulkiri.

Dopo aver dovuto rinunciare alla visita in Vietnam ci troviamo davanti le ultime due visite, separate da poche centinaia di km.

Per prima raggiungiamo la Mobile Clinic di Mondulkiri, progetto sviluppato e gestito dal CIAI. L'impossibilità di entrare in Vietnam ha comportato la modifica dei tempi di viaggio e siamo costretti a organizzarla di fretta, seguendo un diverso ordine. Nel percorso originale avremmo dovuto arrivare a Phnom Penh da Ho Chi Minh, prendere contatto con l'headquarter del CIAI e poi, adeguatamente informati, raggiungere il distretto di Mondulkiri.

Ma i fatti del destino e la burocrazia Vietnamita hanno disposto diversamente: costretti a scendere da nord raggiungiamo prima Senmonorom, capitale del distretto, vediamo le attività di "field", e poi ci spostiamo a Phnom Penh, per la "lezione teorica".

Capitiamo nel periodo di vacanza di Sian, la responsabile della Mobile Clinic. Una vacanza molto breve: potremo incontrarla quando passeremo da Phnom Penh. Ovviamente però qualcosa cambia: non potremo partecipare al giro della mobile clinic e dovremo affidarci alle spiegazioni del personale locale.

Da un certo punto di vista sono quasi contento: potremo dare un'occhiata "dietro le quinte" e vedremo all'opera il personale cambogiano senza la copertura di un responsabile europeo.

Detto fra di noi, questo è il vero obiettivo di ogni progetto implementato dal ONG straniere: sviluppare competenze e portarle alla completa indipendenza.

Perciò scendiamo verso sud da Pakxe, attraversiamo la frontiera Cambogiana, raggiungiamo Kratije e la mattina successiva giriamo verso est per raggiungere Senmonorom. Arriviamo di venerdì, con il risultato di massacrare l'intero weekend ai ragazzi di Mondulkiri. Il progetto Mobil Clinic coinvolge i due distretti più a est della Cambogia, al confine con il Vietnam. Due aree limitate, ciascuna descrivibile come un rettangolo di circa 100 per 80 km.

A questo punto consiglio a tutti di fare una breve ripasso della storia Cambogiana degli ultimi trent'anni. Rinfrescherà la memoria sulle guerre civili, i bombardamenti (539.000 tonnellate di bombe sganciate dai B52), tre anni, otto mesi e venti giorni di dominazione dei Khmer rossi (data d'inizio: 17 aprile 1975 con la deportazione dell'intera popolazione di Phnom Penh e conclusa con la morte di non meno di 2 milioni di cambogiani su 12 milioni di abitanti), l'invasione vietnamita che ha messo fine alla dittatura di Pol Pot e iniziato una guerra civile che è durata, con alterne vicende, fino al 1998 (in coincidenza della poco chiara morte di Pol Pot) e la conferma di un governo che dura ancora oggi, con lo stesso, inamovibile primo ministro.

In tutto questo disastro, la provincie di Ratanakiri e Mondulkiri sono state teatro di ogni tipo di nefandezza anche per la posizione di confine con il Vietnam. Sono state minate con obiettivi diversi un po' da tutti i contendenti. Sono state culla del movimento dei khmer rossi e l'inizio della loro fine. Esteticamente sono bellissime: jungla, colline, fiumi, cascate. La temperatura è fresca e ventilata, dopo giorni di caldo asfissiante. L'unico vero problema sono le strade, note per essere le peggiori di tutto questo quadrante. In effetti ho un po' di preoccupazione: da Snoul a Senmonorom ci sono circa 120 km e sulla strada ci sono notizie diametralmente opposte.Da "strada in gran forma: la migliore della Cambogia" a "strada che potrebbe scoraggiare anche i più esperti dirt tracker".

La versione corretta, finché dura, è la prima. 120 km di strada perfetta. Fino a Senmonorom. Cerchiamo l'ospedale e ci presentiamo davanti all'ufficio del CIAI. Ci accolgono, lavati, stirati e molto tesi Pisith, Noi e Makarà. Da questo punto cercherò di organizzare il racconto in ordine logico e non cronologico, cercando di renderlo più fruibile.

Sono sicuro di non riuscire nel mio intento, perciò tento di distrarvi raccontando un fatto di cronaca.

Qualche tempo fa, il primo ministro Cambogiano, incalzato dalle domande poco gradite di un giornalista, lo ha zittito dandogli del "bunong".

Il nome è quello di un'etnia che rappresenta il 60% della popolazione dei distretti di Mondulkiri e Ratanakiri. Viene comunemente usato (purtroppo) come insulto. Il significato è quello di ignorante, stupido, di cattivo gusto, eccetera. La popolazione bunong è un'etnia a parte: non parla khmer e vive in comunità tribali praticando l'animismo. Vivono in villaggi isolati, non raggiunti da nessuna strada degna di questo nome. Nei nostri doveri di cronisti c'era quello di visitare almeno un villaggio bunong. Pisith, Noi e Makarà ci hanno accompagnato in uno di quelli "facili" da raggiungere. In cui possiamo supporre, le condizioni di vita sono piuttosto vicine a quelle del resto della popolazione.

Partiamo sabato mattina. I ragazzi guardano criticamente la moto: ma non è troppo pesante? Beh, mica tanto: ho scaricato tutti i bagagli e rispetto a quella che mi sono portato in giro per 20.000 km , mi pare di stare in sella ad una bicicletta. Poi ho le gomme da fuoristrada, sono perfettamente allenato e pronto a tutto. Si parte e, dopo circa due ore e 25 km, arriviamo al villaggio.

Con la insostituibile complicità della stagione secca che ha temporaneamente asciugato tutti i pantani, ci somministriamo solo tre guadi, un attraversamento di fiume su passerella di bambù, innumerevoli fossi, buche e polvere. Poi ci fermiamo (tutti) di fronte ad un sentiero fangoso: stretto, tortuoso e infilato fra le risaie. Altri 20 minuti di fatica bestiale e immeritata fortuna e arrivo vivo (quasi) al centro del villaggio. Fra gli alberi si vede qualche capanna, per la maggior parte satura di fumo. Le pareti, in gran parte, sono fatte di corteccia. I bambini girano nudi insieme a cani, polli, maiali, qualche gatto. Non c'è luce, e la copertura della rete cellulare è molto parziale. Gli abitanti salgono su qualche albero o su qualche collina se devono telefonare. C'è un televisore, alimentato da una serie di batterie d'auto. L'immondizia viene abbandonata attorno oppure bruciata.

Il 59% delle nascite avviene secondo pratiche tradizionali, senza nessuna assistenza medica, perciò in 1 caso su 11 si muore di parto. Il coefficiente di mortalità infantile sotto i 5 anni è 106 (su 1000 nati, 106 muoiono entro il 5° anno): il doppio di quella nazionale (la Cambogia in questo campo occupa già gli ultimi posti nella classifica mondiale). Alle difficoltà logistiche si aggiungono quelle legate alle credenze tradizionali. Il primo latte viene scartato perché ritenuto dannoso al neonato. La madre e il bimbo devono restare relegati nella capanna per 40 giorni, durante i quali, sotto il giaciglio, viene mantenuto costantemente acceso un braciere. Insisto sul fatto che le capanne non sono in alcun modo attrezzate con una canna fumaria, perciò madre e neonato vivono per quaranta giorni in un ambiente surriscaldato e saturo di fumo. Aggiungete che la maggior parte dei villaggi può essere raggiunta solo con un 4x4, solo in determinate stagioni dell'anno, con viaggi che durano anche due giorni e includono passaggi di guadi, infiniti impantanamenti e ore di spinte e scavi per uscirne (allego qualche immagine per dare la corretta impressione).Metteteci pure che il trasporto di un malato all'ospedale è ostacolato da problemi religiosi e da superstizioni.

Mettiamoci nei panni di un genitore.

Vostro figlio si ammala. Per prima cosa vi rivolgete allo stregone locale. I bunong ritengono che la malattia sia generata da un'offesa agli antenati che va sanata con delle offerte. Fate tutte le offerte che potete ma non ottenete alcun risultato. Non resta che portare il bimbo all'ospedale. Ma c'è un altro rischio: se il bimbo muore durante il trasporto o dopo aver raggiunto l'ospedale, dovrete risarcire tutti i villaggi attraversati perché un morituro che attraversa il territorio porta sfortuna. Il risarcimento è consistente e nessuno se lo può permettere. Una volta raggiunto l'ospedale, avrete tutta un'altra serie di problemi. I ricoverati khmer non gradiscono avere un vicino di letto bunong. Per avere diritto all'assistenza gratuita dovete avere la tessera della social security, che i bunong non sono in grado di richiedere ne di ottenere, perciò dovreste pagare la retta. Medici e gli infermieri, quando anche accettassero di curare un bunong, sono talmente mal pagati che sono spesso assenteisti, occupati a fare altro per arrotondare il bilancio o chiedono di essere corrotti per dare il servizio. Che ottenere i documenti per l'assistenza gratuita implica almeno che il paziente risulti nato. Quasi tutti i bunong non fanno registrare le nascite perché la registrazione costa 20$ e lo stipendio medio cambogiano (quando c'è) non supera i 60$ al mese (i bunong non hanno nessuno stipendio). Perciò un malato che non esiste non può essere ricoverato. Per ultima sfatiamo la comune leggenda che le popolazioni "primitive" ( i bunong non se la prenderanno per questa definizione) siano sane e poco inclini ad avere problemi di salute. Hanno tutti i guai di salute che abbiamo noi, aggravati da una totale mancanza di principi igienici e di prevenzione a cui si aggiungono problemi respiratori acuti, incidenti di tutti i generi, con una particolare frequenza delle ustioni dovute all'uso di bracieri primitivi usati senza alcuna misura di sicurezza. Faccio l'elenco dei risultati delle diagnosi effettuate all'ospedale nel corso del 2012: sindromi respiratorie acute, ferite, problemi chirurgici, malaria, parassiti intestinali, infezioni, diarrea, infezioni della pelle, problemi congeniti, malnutrizione, febbre generica, ascessi, malattie non identificate. Per ridurre l'incidenza del colera sono state installate diverse latrine, e poi si è scoperto che, per tradizione, la suocera non può usare la stessa latrina della nuora?

Torniamo a valutare il progetto Mobile Clinic.

Ci aspettavamo un team che scorazza per la jungla facendo iniezioni al volo: una specie di Camel Trophy sanitario. Rappresentiamo a Pisith l'idea che ci siamo fatti e lo vediamo impallidire. Comincia ad affrontare l'argomento alla lontana, evitando di contraddirci (ho scoperto solo dopo che per un cambogiano è impossibile dire no: la sua lingua non lo consente). Gli propongo di riprenderlo mentre ci spiega il suo punto di vista.

Risponde si, ma si vede benissimo che preferirebbe morire. Chiede solo tempo. Ok, ci vediamo dopo pranzo. Torniamo dopo un paio d'ore e lo troviamo lavato, stirato, rasato e teso come una corda di violino. Sulla lavagna ha messo in bell'ordine 9 "bullet point". Suda copiosamente ma si sottopone al supplizio con un coraggio che gli ammiro senza reticenza. Pisith è davvero il collaboratore che ognuno di noi vorrebbe avere. Con lentezza, comincia ad illustrare le attività che compongono il lavoro che si nasconde sotto il nome di battaglia di Mobile Clinic.

1) Supporto pediatrico

2) Fornitura di materiali

3) Formazione del personale medico provinciale

4) Addestramento & assistenza

5) Formazione del personale medico distrettuale

6) Rapporti all'ESC

7) Mobile clinic nelle comunità

8) Educazione sanitaria alle comunità

9) Educazione pediatrica alle comunità

Come vedete, il veicolo entra in gioco solo al 7 posto.Tutti gli altri punti riguardano lo stesso progetto ma sono ben più importanti.

Il supporto pediatrico è il compito finale. Per prima cosa bisogna superare le resistenze culturali. Ad ogni famiglia viene concesso un sostegno di 1,5$ al giorno durante la degenza del bimbo in ospedale: nella maggior parte dei casi, la madre resta all'ospedale con il bimbo malato, magari portando con se il fratellino più piccolo che non saprebbe a chi affidare. Inoltre viene assistita nell'ottenimento della social security e in ogni altro adempimento con l'autorità sanitaria, compresa l'accettazione presso l'ospedale pediatrico di Siem Reap per i casi più complessi.

All'ospedale di Senmonorom il CIAI fornisce attrezzature e materiale, necessari e moderni. Il personale è sottoposto a rotazione a corsi di formazione e viene addestrato e seguito nell'uso delle attrezzature e delle tecniche apprese. L'addestramento include anche il personale delle strutture distrettuali. Su ogni attività vengono inviati dati e rapporti all'autorità centrale. Solo dopo tutto questo, entra in gioco la Mobile clinic. Ogni 15 giorni la jeep parte con a bordo autista, interpreti, infermieri e medico e visita un certo gruppo di villaggi. L'appuntamento è all'health post. Qui il medico visita, si registrano i nuovi nati, si pesano, si somministrano cure e medicine, si decide per i ricoveri. Ogni "visita" occupa circa una settimana, poi il personale rientra per qualche giorno e, dopo qualche giorno di lavoro in ospedale, si comincia tutto da capo in un altro gruppo di villaggi. Visitare tutti i villaggi di Mondulkiri richiede 9 mesi e, nel 2012, sono stati visitati 2500 bambini.

Raggiungere i villaggi più lontani (circa 80 km) richiede anche due giorni di viaggio. I risultati ci sono: il numero di coloro che ricorrono alle cure mediche è aumentato. Gli abitanti dei villaggi cominciano a fidarsi, le attrezzature e il personale dell'ospedale cominciano ad essere efficienti.

Ma perché il CIAI ha deciso di intervenire proprio qui?

A questa domanda ha risposto con chiarezza disarmante Paloma, la responsabile di tutti i progetti del CIAI in Cambogia. -" Ci occupiamo di infanzia e i dati di sopravvivenza dei bambini in questi distretti sono i peggiori di tutta la Cambogia: 106 morti su 1000 nascite (media Cambogiana 54 su 1000)"- Facile, lineare, convincente.

A questo punto ho fatto la domanda che mi attanaglia da tempo: perché è così difficile occuparsi di charity? -"Perché non facciamo charity: facciamo cooperazione"-.

Siccome sono duro di comprendonio, insisto: che differenza c'è? -"La charity tende ad alleviare un momento di sofferenza. La cooperazione vuole arrivare ad un cambio stabile della situazione. Perciò occorre professionalità, idee chiare e grande capacità organizzativa"-.

Chiarissimo: ecco perché io e Anna non serviamo a nulla: non siamo infermieri, medici, non sappiamo il khmer o il bunong, non conosciamo le leggi o le tradizioni. Ora è davvero chiaro.

Chiediamo a Paloma quale sia il rapporto con l'ospedale di Senmonorom: il CIAI è il principale partner di questa struttura ma non ha alcuna potere: come può intervenire su malfunzionamenti, assenteismo, razzismo?

Ammette che a volte è fonte di frustrazione, ma cita un fatto avvenuto qualche tempo fa. Alla porta dell'ufficio destinato al team della Mobile Clinic si presenta una donna bunong con in braccio un bambino avvolto in una coperta. Paloma e la project manager, pensando che abbia sbagliato ufficio, le indicano il pronto soccorso. La donna non si muove. La project manager si alza, certa che la donna non abbia capito le si avvicina per indicarle dove andare. Solo allora si rende conto che il bambino (una bambina) è gravemente ustionata. La donna è già stata al pronto soccorso ma è stata rifiutata ed è venuta qui sperando che qualcuno possa fare qualcosa.

Paloma e la project manager vanno a chiederne ragione al direttore. La risposta è che la donna non ha la social security e non può pagare, perciò DEVE essere rifiutata. Le ragazze rispondono che le LORO coscienze non consentono di rifiutare le cure e vanno in sala operatoria per intervenire. Il direttore si oppone ma non riesce ad impedirlo. Dopo poco le ragazze vengono raggiunte dai medici e, dopo un po', anche dal direttore. Nessun altro metodo avrebbe funzionato: né minacce, né violenza verbale o ritorsioni: l'unica possibilità è l'esempio.

Gli stessi bunong hanno cominciato a utilizzare l'ospedale solo quando hanno visto i risultati.

Ultima domanda: siete soddisfatti dei risultati?

La risposta è "non ancora". Siamo ancora troppo distanti da uno standard europeo, gli assistiti non hanno coscienza dei loro diritti e molti degli operatori delle strutture pubbliche non hanno coscienza dei loro doveri. E allora?

Risponde Sian, la project manager: guardiamo indietro. Il CIAI è attivo in Cambogia da anni e oggi è possibile fare dei confronti con la situazione d'allora: vent'anni fa era peggio. Fra vent'anni sarà meglio di oggi.

E vero: il CIAI è attivo in quest'area da molti anni e si occupa di diversi progetti. Approfittiamo della loro disponibilità per dare un'occhiata ad interventi diversi. La Mobile Clinic di Mondulkiri si occupa di un'area molto particolare ma come sta il resto della Cambogia?

Molto facile da vedere, se si conoscono le persone giuste. Visto che ormai siamo a Phnom Penh, facciamo un salto in uno degli slums. Il CIAI ha aperto un centro che si occupa di assistere degli orfani e i bambini di uno slum, dando loro assistenza e qualche ora di libertà dalla "solita vita". Aggiungo che la storia aperta con la deportazione dell'intera popolazione di Phnom Penh, ha aperto ferite che non si sono ancora rimarginate.

Il 17 aprile del '75 la città è stata completamente svuotata, tutti gli alberghi sono stati fatti saltare (unico escluso, lo storico Raffles) ed è rimasta pressoché vuota per anni. Durante la guerra civile iniziata quattro anni dopo, decine di migliaia di senzatetto e profughi hanno cercato rifugio nella case abbandonate. Con il ritorno dei legittimi proprietari si è aperta una vertenza che si è conclusa, nella maggior parte dei casi, con una nuova deportazione. Gli occupanti sono stati trasferiti forzosamente fuori città, in aree di proprietà pubblica, prive di ogni riparo o servizio. Decine di migliaia di persone si sono ritrovate in mezzo ai campi, senza casa, senz'acqua, senza luce. Così sono nati decine di "slums".

Arriviamo al centro al momento del pisolino dei più piccoli. Dormono tutti in fila, uno a fianco dell'altro. Hanno mangiato, e studiato. Al risveglio potranno giocare, protetti da uno spesso reticolato, che fa tanto campo di concentramento.Ma l'ambiente qui attorno non è proprio un circolo di educande? Sono belli, simpatici e tanto bisognosi di cure e di affetto. Percorriamo qualche centinaio di metri e raggiungiamo le loro case. Credo di aver scattato alcune delle immagini più strazianti di questo viaggio. Lascio che vi facciate un'idea da soli. Sono convinto che il compito di questo piccolo centro sia assolutamente insostituibile.

Quando lasciamo Phnom Penh e ci dirigiamo verso Siem Riep, ci facciamo organizzare una breve visita alla scuola di danza tradizionale. Una delle iniziative più note, sostenuta a suo tempo da Pavarotti.

240 allievi e allieve. Per accedere occorre essere in ordine con gli studi, avere problemi economici, ed avere una comprovata attitudine alle discipline insegnate. Il numero è chiuso e possono entrare solo tanti allievi quanti ne vengono diplomati. Perciò l'esame di ammissione è sempre più selettivo. Le discipline previste sono: musica, danza, costumi e maschere. Tutti i diplomati trovano facilmente lavoro, tanto che il prossimo obiettivo è quello di organizzarli in un "sindacato" per garantire la difesa dei loro diritti. Oltre alle lezioni "canoniche" in cui si imparano tutte le tecniche e le regole di questa complicatissima arte, si tengono dei seminari con i più noti "maestri". Il compito di questi incontri è lo sviluppo della creatività tramite dibattito e critica. Gli studenti discutono, propongono e sottopongono le loro idee al giudizio di vere autorità. Il dibattito è sempre molto vivace e denso di risultati.

Ecco: forse è questo che intende dire Sian, quando parla della speranza data dallo scorrere del tempo. Questo progetto, attivo da anni, anticipa il risultato che ci attendiamo con i bambini degli slums di Phnom Penh, o con i ragazzi delle comunità bunong di Mondulkiri. La conoscenza dei propri diritti e la capacità di ottenerne il rispetto.

Perciò: rimboccarsi le maniche e lavorare.

In coda ringrazio tutti per il tempo e la fatica che ci hanno dedicato. Per la prima volta dalla partenza, abbiamo potuto fare alcune delle interviste in italiano: questo ci ha messo in posizione di grande vantaggio. Grazie a Paloma e Anisa e un incoraggiamento particolare ai ragazzi dell'ospedale di Mondulkiri: Makarà, Noi e l'eroico Pisith.

Anna & Fabio

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